Guido Brunetti
Neurogenesi e neuroplasticità del cervello
Lo studio del cervello e della mente da sempre rappresenta per i neuroscienziati “il problema dei problemi” (Vizioli). Un problema reso difficile dal fatto che cervello e mente sono soggetto ed oggetto dell’indagine, e sono considerati così ardui che spesso per definirli vengono usati i termini mistero ed enigma. Un processo misterioso lo definisce Eccles, uno dei più grandi misteri del creato. Mistero che forse, per alcuni neuroscienziati, non sarà mai risolvibile. Insomma, conosciamo ancora poco della struttura e del funzionamento di questi due organismi.
In questi ultimi anni, poi, nel trattare la materia in oggetto, viene usata la parola cervello al posto di quella di corpo. Il concetto ricorrente è “Mind- Brain- Problem”. Gli studiosi parlano di “problema cervello” in quanto ritengono che non esistano eventi mentali, ma solo eventi cerebrali. La mente- precisano- è soltanto l’esito di uno stato fisico. Uno stato mentale è in sostanza uno stato del cervello. C’è identità di cervello (corpo) e mente. Kandel ha scritto in proposito che tutti i processi psichici, normali ed anormali, sono funzioni del cervello.
Siamo quindi lontani dal dualismo metafisico di anima (sostanza immateriale ed eterna) e cervello (sostanza materiale) teorizzato da Platone e Cartesio.
Il cervello “siamo noi”- scrive Michela Matteoli nel suo nuovo libro intitolato “La fioritura dei neuroni” (Sonzogno 2024). La fioritura dei neuroni si riferisce alla scoperta della neurogenesi, della formazione di cellule nervose che può avvenire nel corso di tutta la vita.
E’ stato il biologo Joseph Altman a fornire nel 1965 la prima prova della neurogenesi nell’adulto attraverso esperimenti effettuati sui roditori adulti. Successivamente, la nascita di neuroni nel cervello adulto venne confermata dagli studi su canarini, roditori, maiale e macaco.
Il cervello ha la capacità di “rinfoltirsi” e di “rinverdire” per mezzo delle sinapsi, termine introdotto da C.S. Cherrington nel 1897 per indicare il punto di contiguità tra due neuroni. Tenere allenato il cervello per mezzo di un ambiente arricchito con nuove conoscenze ed esperienze significa attivare continuamente neuroni o sistemi di neuroni ed allontanare l’invecchiamento e il declino cognitivo.
Ogni nuova esperienza, ogni nuova conoscenza che facciamo servono a modificare la quantità e la qualità delle sinapsi. Ciò è possibile in virtù della neuroplasticità del cervello. Il cervello è plastico perché può cambiare se stesso. E’ stato il neuroscienziato Eric Kandel che a partire dagli anni Sessanta scoprì come il processo di apprendimento avvenga attraverso il rafforzamento delle sinapsi, studiando una lumachina di mare, Aplysia californica. Inoltre se i neuroni sono presenti, ma non funzionano e sono atrofizzati, in linea di principio, secondo D. Swaab, “ è possibile riattivarli”.
Una buona istruzione, un lavoro impegnativo e una vita attiva in età avanzata “riducono le probabilità di contrarre patologie degenerative”. L’idea che l’attivazione delle cellule nervose eserciti un effetto protettivo contro l’invecchiamento è stata sintetizzata da Swaab, utilizzando la frase “use it or lose it”: usalo (il cervello) altrimenti lo perdi.
In questa visione, assumono un ruolo speciale i “neuroni specchio”, i quali ci permettono di riconoscere le emozioni degli altri. Osservare qualcuno che compie un’azione con la mano stimola le stesse cellule nervose che si attivano quando lo si compie. I neuroni specchio sono la base del nostro apprendimento per imitazione. I neonati con meno di un’ora di vita sono già in grado di imitare i movimenti della bocca degli adulti (Swaab). I neuroni specchio inoltre rendono possibile comprendere le emozioni degli altri e costituiscono pertanto la base dell’empatia.
L’empatia viene descritta come la capacità di vedere il mondo dal punto di vista di un’altra persona e di provare i sentimenti e le emozioni dell’altro. L’empatia costituisce la base dell’agire morale. Sono stati osservati negli animali molti esempi di autentico comportamento morale.
Concludiamo, affermando che gli esseri umani non solo sono i primati più violenti, ma anche quelli più empatici.
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