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Ines de Castro. Un mito lungo cinque secoli

Narrativa

Salvatore Statello
di nicolò edizioni

Recensione di Maria Grazia Maiorino
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Pubblicato il 04/11/2016 12:00:00

 

Fra splendidi ozi allegri dì contavi

Bell’Ines giovinetta ed il tuo cuore

Sotto la man di chi n’avea le chiavi

Lieti frutti cogliea d’un casto ardore

Né t’era noto ancor ch’ai dì soavi

Mesce il fato l’amaro, e il tuo Signore

Solo talor chiedevi e di Montego

Il dolce suolo …

 

 

Mi piace mettere sulla soglia di queste semplici impressioni di lettrice alcuni versi di Luìs de Camoes, il Dante che ha dato al Portogallo il poema più famoso, nato nello splendore del pieno Rinascimento, quando un piccolo paese all’estremità occidentale d’Europa ha aperto i suoi orizzonti al mondo e ha consegnato i suoi personaggi e le sue storie alla poesia, trasformandoli in miti destinati a durare e a superare i propri confini, in un continuo scambio di reciproci influssi e richiami, non solo all’interno della cultura europea. Nei versi de Os Lusìadas sentiamo echeggiare l’incipit di “A Silvia”, che molti di noi portano stampato nel cuore fin dai primi anni di scuola. Leopardi conosceva questo poema, presente nella biblioteca paterna, e le due giovani donne, Ines e Nerina-Silvia, le sentiamo subito sorelle nell’unica figura di giovinetta destinata a morte prematura, ma anche a risorgere come una fenice nell’immaginario collettivo. E molte sono le risonanze leopardiane nella letteratura portoghese, come ci fa notare Maria Grazia Russo, che a questo tema ha dedicato un libro, nella sua intensa e appassionata presentazione del volume Ines de Castro - Un mito lungo cinque secoli (nicolò edizioni 2016), firmato da Salvatore Statello, con la collaborazione di Paola Ciarlantini.

Ines de Castro è il nome di una donna realmente vissuta nel Portogallo del 1300 e morta tragicamente a causa di un amore impossibile che la legava al principe ereditario Pedro I, il quale l’ha onorata come una regina e come una moglie dopo la sua morte, e ha fatto costruire due sarcofagi bellissimi di pietra ornata di rilievi, uno accanto all’altro, nell’abbazia di Alcobaςa; ne vediamo le fotografie sfogliando queste pagine, insieme ad altre immagini che arricchiscono il testo: ritratti, dettagli di architetture e paesaggi, manifesti, scenografie, teatri. Ma il monumento più grande eretto nel nome di Ines è stato quello del mito, nato dalle sue vicende terrene a partire dal cinquecento. All’inizio della presentazione leggiamo due date: 1516 – 2016. Cinquecento anni di esistenza letteraria. Questo è il tema messo a fuoco dall’autore, che tratta l’argomento in modo avvincente affrontandone le molteplici sfaccettature. Dopo una sintetica analisi storica e antropologica degli ambienti di corte che fanno da sfondo alle vicende, tra realtà e leggenda fin dall’inizio, per i molti segreti ma anche per straordinari comportamenti da parte dei protagonisti, Don Pedro soprattutto e la visibilità che volle dare al suo amore perduto, Statello conduce noi lettori in medias res, cioè tra le pagine di alcune opere poetiche da lui stesso tradotte. Una interessante antologia, uno spaccato di letteratura portoghese che va dalle Trovas (Strofe) di Garcia de Resende, che introdusse nella letteratura ‘il più importante simbolo portoghese dell’amore tragico’, alla tragedia Castro, il capolavoro di Antonio Ferreira, pubblicata postuma nel 1598, ai Dodici sonetti di Francisco Manuel de Melo, fino al repertorio del teatro italiano. Questa parte ripropone il contenuto del volume dello stesso Statello, rivisto ed edito nel 2004, Ines de Castro eroina del teatro italiano tra settecento e ottocento, e comprende una rosa di autori, a partire da Domenico Laffi, un prete bolognese, vissuto nel seicento, che viaggiò molto per i suoi pellegrinaggi ed è il primo autore italiano che ha pubblicato un’opera su questo soggetto; il più noto al lettore comune è Pietro Metastasio, il quale ha il merito di introdurre le tragiche vicende di Ines nel melodramma, consegnando alle scene un’ opera ambientata nella mitologia greca, il Demofoonte, dove lei è chiamata Dircea. Ines, Nise, Inez, Dircea: diversi sono i nomi dati allo stesso personaggio come numerose e continue sono le metamorfosi che subiscono le vicende insieme ai loro protagonisti, ma costante mi sembra il richiamo, pur nella diversità di epoche, stili, culture, ai valori spirituali che sopravvivono: anima, amore, innocenza, unione nel mistero dell’eternità degli amanti sacrificati alla ragion di stato.

Nella seconda parte del libro è Paola Ciarlantini, musicologa e compositrice, ad accompagnarci attraverso la storia operistica della nostra eroina, che ebbe molto successo soprattutto a cavallo tra settecento e ottocento. L’analisi dei libretti d’opera ci permette di seguire l’evolversi ulteriore del racconto, che assume accenti romantici e mira a coinvolgere gli spettatori con il susseguirsi dei colpi di scena, perfino con un sorprendente e catartico lieto fine. Tra i vari autori presi in esame uno spazio particolare è riservato al marchigiano Giuseppe Persiani e a sua moglie, il soprano Fanny Tacchinardi, (ai quali Ciarlantini ha già dedicato numerose pubblicazioni), seguendone l’intero percorso artistico dall’Italia alla Francia, dove entrambi vissero e lavorarono per molti anni fino al ritiro, in vecchiaia, a Neuilly sur Seine, dove sono sepolti. In queste pagine si respira l’aria dei teatri, il fermento e le ansie della prima, la festa degli applausi, l’emozione dei cantanti, l’atmosfera leggendaria che circonda le“ Prime donne di prima Sfera”, come Maria Malibran, Fanny Tacchinardi, Caroline Ungher, Erminia Frezzolini. Gustosi sono anche alcuni dettagli di costume o “burocratici”, come quello sul “decreto che proibiva ai cantanti di presentarsi più di una volta sulla scena per rispondere alle chiamate del pubblico, talmente numerose ad ogni replica da irritare i membri della corte”, tanto era stato incontenibile l’entusiasmo del pubblico alla prima dell’Ines de Castro di Persiani al San Carlo di Napoli, il 28 gennaio 1835. Le sorti del melodramma erano destinate a mutare nella seconda metà del secolo e nel corso del novecento, ma possiamo dire che il nostro libro si chiude in bellezza con un breve capitolo intitolato “La riscoperta moderna dell’opera di Persiani”: si dà conto infatti di un’attenzione al cosiddetto ‘ottocento minore’ da parte di studiosi ed enti, che hanno ideato nel 1995 il progetto “Riscoperta della civiltà musicale marchigiana”. In tale ambito è nuovamente risorta la fenice Ines di Persiani, rappresentata nel 1999 in prima mondiale moderna a Jesi con Maria Dragoni nei panni della protagonista. E dalle Marche lo sguardo di nuovo ritorna al punto di partenza, il Portogallo, ma questa volta la scena si svolge nel nostro tempo, nella bellissima piazza dell’antica città universitaria di Coimbra, dove l’opera ha ripreso vita il 6 e 7 giugno 2003, mentre una terza recita straordinaria è stata allestita il 10 giugno nella cattedrale dell’abbazia di Alcobaςa.

E come non ricordare le parole di Leopardi (citate in nota a pag. 15) per concludere? Parole che vogliamo intendere come un’apertura, e un augurio per la fortuna dell’arte italiana del melodramma, in vista di un nuovo umanesimo che consideri la bellezza sempre più necessaria. ”Le rimembranze che cagionano la bellezza di moltissime immagini nella poesia non solo spettano agli oggetti reali, ma derivano bene spesso anche da altre poesie, vale a dire che molte volte un’immagine riesce piacevole in una poesia, per la copia delle ricordanze della stessa o simile immagine veduta in altre poesie”. (Zibaldone, 29 settembre 1821).

 


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