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Basquiat... Una sola lingua tanti linguaggi.

Argomento: Arte

di Giorgio Mancinelli
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Pubblicato il 10/07/2024 04:36:21

Basquiat ... Una sola lingua tanti linguaggi.

Con l’avvento di una maggiore presenza tecnologica nell’informazione, attraverso la comunicazione informatica e telematica, si è vista maturare l’attenzione per il fenomeno comunicativo nel suo complesso e nella varietà delle sue applicazioni. In molti casi, all’idea di una educazione precostituita (concettuale) dell’arte, si è venuta sostituendo una maggiore unità informativa (conoscenza del web) che, se vogliamo, rientra nella gamma dei ‘linguaggi non verbali’(1), diversificati dall’idea educazionale storico-linguistica (e quindi filosofica) cui si fa riferimento nei libri di storia dell’arte.
Nel concetto innovativo dell’odierna ‘comunicazione visiva’ (2), sia nell’ambito della ricerca applicata allo studio dell’arte, sia nello specifico della ‘conoscenza evolutiva’ cui dobbiamo tendere, un tale ampliamento e spostamento di interessi non è certo casuale, bensì deriva, in massima parte, dalla presa di coscienza critica dei dati di una realtà socioculturale che è andata sempre più evolvendosi in misura consistente e a un ritmo così veloce di cui oggi non possiamo non tenerne conto. Anche per questo, un nuovo approccio al fenomeno comunicativo enunciato in precedenza si rende qui necessario.
Ancor più per dare risposte plausibili alle domande: “dove sta andando l’arte?”; “dove ci stiamo conducendo?”, alle quali se ne aggiunge un’altra: “quali altri muri ci restano da abbattere?”. Lì dove ‘muri’ sta per tabù o altri impedimenti (o esperienze), o anche nuove idee suggerite dal mercato che tutta l’arte si trova ad affrontare. Indubbiamente il carattere innovativo delle tecniche utilizzate, la considerazione dei diversi linguaggi non ‘figurativi’, i materiali denaturalizzati dell’industria recuperati e ‘riciclati’, è innegabile che spesso creino disorientamento sia nell’interlocutore, sia nel fruitore delle nuove tendenze dell’arte, a cominciare da quella cosiddetta ‘concettuale’.
Acciò contribuiscono molti artisti dell’ ‘Iperrealismo’ (2) e della ‘Pop-art’ (3) che hanno assunto come contrassegno della loro produzione, la ‘cifra’ del messaggio metaforico, decodificato, non ‘verbale’ perché antiartistico, non ‘estetico’ perché fin troppo estetizzante, usato per lo più come ‘strumento’ non finalizzato all’arte. Basquiat s’inserisce in questo contesto in modo critico, lì dove, pur utilizzando gli arnesi dell’ ‘Action-painting’ (4), cioè la pittura in funzione del supporto che utilizza, appropriandosi così di linguaggi preesistenti facendoli suoi, li trasferisce in quel ‘nuovo linguaggio’, personalistico, che si riflette in tutta la sua produzione.
È in questa trovata dimensione che l’artista, finisce con lo scegliere una sua ‘maniera di esprimersi’ linguisticamente ed espressivamente che sarà la sua ‘cifra’ artistica. Pur con quelle variazioni di ‘registro’, connesse ai singoli elementi comunicativi, che bene dicono chi è il destinatario del suo linguaggio, qual è il suo scopo e quale la circostanza creativa di ogni suo quadro. In tal modo, la risposta al nostro quesito, sarebbe significativa se fosse differenziata per ogni singola domanda, mentre invece è univoca: “l’arte di Basquiat serve a Basquiat”, maturata e contenuta nella più completa mancanza di un progetto fattivo, di un percorso culturale o, come si usa dire, di un intento artistico ‘concettuale’.
Per ovviare alle incomprensioni possibili di questa tesi, ho ritenuto più che mai necessaria, analizzare direttamente alcune sue opere significative:
1) “Untitled 1981” (n.30 del catalogo francese) (vedi immagine)
Le grandi dimensioni di questo quadro, ancor più che in altri, è rappresentato una sorta di ‘labirinto’ che Basquiat immagina dentro la sua testa (teschio), come di un ostacolo da superare o quanto meno da affrontare in senso iniziatico. Luogo il cui possesso richiede un percorso ‘tortuoso’ che si snoda attraverso linee grafiche come rotaie su cui si intersecano i molti treni di una stazione, il cui centro (il riquadro occipitale) è la sua fine. Tuttavia sono le campiture di colore a dare tridimensionalità al quadro, lì dove l’ocra, il giallo, il blu, il nero, il rosso danno luogo a quel ‘passaggio interiore’ irraggiungibile, che richiama alla morte prima ancora che alla rinascita.
2) “Felix The Cat” (n.151) (vedi immagine)
Siamo a New York, Ottobre del 1985, Jean-Michel Basquiat partecipa con Andy Warhol all’inaugurazione della mostra alla Tony Shafrazi Gallery dove vengono esposte per la prima volta le opere pittoriche frutto della loro collaborazione. Come questa qui raffigurata in cui gli elementi essenziali di entrambi gli artisti si annodano come per l’annodarsi di un ‘papillon’, quasi a dare il senso compiuto di una avvenuta fusione. In realtà gli elementi restano comunque distinti e – a mio parere – lontani. C’è però un elemento da non sottovalutare ed è l’abbinamento del volto sorridente di Felix the Cat sopra la testa/maschera del Griot africano che mostra i denti, a significare la convivenza possibile della commedia e della tragedia sulla stessa scena.
3) “Riding with Death” (n.167) (vedi immagine)
In questo quadro è rappresentata una scena fortemente drammatica che richiede una lettura psicologica che apre strade inattese, così come nella mente dell’autore che in quella dell’osservatore. Solitamente, siamo abituati a vedere la scheletrica morte che cavalca un destriero nel mezzo di una bufera; qui l’evento è ribaltato, un cavaliere nudo (Basquiat?) cavalca con coraggio la morte come “cominciamento” di una riscossa, quasi attraversando le svolte e i viluppi di un mistero, ripercorrendone le stesse sinuosità. Come un volersi lanciare in avanti in un progetto che lo porti a trovare l’uscita del ‘labirinto’ (della droga) in cui si è cacciato, per riemergere un giorno dalle sue oscure spirali.
Opere queste, da cui si evidenzia il suo collocamento attorno a un asse temporale di periodi diversi e che serve a chiarire un’importante tipologia di base, per cui Basquiat è egli stesso ‘corpo’ figurativo, strumento comunicativo che si fa partecipe dell’opera pittorica, conosce l’immanenza del fare. La sua tecnica è quella di operare in modo diretto, dipingendo senza progetto, immagini e simboli grafici e lessicali sul supporto prescelto, sul quale questi vanno ad ancorarsi in modi e forme concrete.
Dopo di ché l’opera così detta, ma nel caso di Basquiat possiamo dire l’esperienza creativa, si esaurisce, decade dal suo interesse per ragioni infinitamente semplici: il creativo che è in lui è pronto per un’altra esperienza. Ecco che allora, lascia scolare i colori, li sporca, li calpesta, quasi li distrugge e, passa ad altro. Non si spiega altrimenti la sua super produzione in pochissimi anni di attività, le diverse esperienze messe in atto, il confronto sistematico (questo sì consapevole) con altre esperienze alternative di comunicazione, come punto di partenza di linguaggi ‘altri’ cui fare riferimento.
È questo il caso delle ‘partiture’ scritte, in cui la scelta delle singole parole e delle frasi, sembra essere la più adatta a esprimere una qualche ‘sua’ concettualità, e ci permette una lettura comparativa dei codici figurativi che in esse si compongono, come negli esempi qui sotto elencati:

1)“Zydeco” (n.144) (vedi immagine)

Cambio di registro, siamo su un campo da tennis, o forse sul piano verde di un biliardo, ove Basquiat dispone le sue ‘visioni infantili’ nel suo modo naif di rappresentare le ‘cose’ utili, le ‘attività’ cui vorrebbe dedicarsi. Il quadro in realtà non espone un ‘concetto’ finito, se non nell’insieme delle attività: dal musicista al cineoperatore, al fotografo, per ognuna delle quali immagina un possibile titolo, un nome, e ‘Zydeco’ in questo caso è probabilmente l’etichetta sotto la quale vorrebbe accumularle. È interessante notare, a differenza di tantissimi altri, come la suddivisione degli spazi è simile a quella di un album di figurine in cui ogni attività ha un suo riquadro delimitato, quasi ogni singola attività sia tenuta separata dall’altra. Inquietante è la presenza ripetitiva di maschere nere, ormai ridotte a simbolo o forse a feticcio, che qui Basquiat incorona, quasi per una ossessione che non lo abbandona.

2) “Tuxedo” (n.121) (vedi immagine)

Retaggio dei suoi inizi da ‘graffitaro’, Basquiat cominciò a dedicarsi intensivamente al mezzo della serigrafia, nella quale egli combinava simboli e grafici su un fondo completamente nero, come a voler dar forma a un vocabolario di elementi diversi. Un web di parole in parte criptiche che riflettono di un coinvolgimento dell'artista con problemi politici, economici, storici, e culturali suggeritigli dalla sua esposizione nel sociale. Lo rivela la stessa scrittura, combinata con segnali e simboli che avrebbero un ruolo prominente se fossero inerenti a una istituzione (manifesto, dichiarazione, lapide ecc.) e, soprattutto se facessero riferimento a prese di posizione reali. Cosa questa che non risulta nelle cronache che lo riguardano. Come già in altre opere, qui il simbolo più frequente è la ‘corona’ che sempre più spesso simboleggerà la sua "icona".
Esempi, supposizioni, niente di più, dove però le parole e la scrittura concorrono a formulare ‘linguaggi’ tutt’uno con il ‘supporto’ dell’arte, a dimostrazione del fatto che Basquiat non concepisce la ‘parola’ come l’unico strumento di comunicazione. E lo fa conciliando non soltanto la concisione dell’esposizione e la relativa brevità richiesta, anzi con la forza interpretativa di alcune importanti scelte: a partire da quella iniziale che gli fa considerare il linguaggio scritto una facoltà aleatoria e tuttavia universale.
C’è in questo una certa ricchezza argomentativa capace di condurre l’osservatore lungo un itinerario essenziale ricco di suggestioni, pur se attraverso l’imprescindibile influenza esercitata dalla scrittura pubblicitaria e non, e la programmazione d’immagini che gli è propria; nonché, il ruolo cruciale nella società consumistica, e i possibili rapporti tra linguaggio parlato e lingua scritta (sul web), “come futuro indicativo di possibile linguaggio dell’arte contemporanea e dell’evoluzione della società futura”. (5)
Dal confronto tra i diversi linguaggi utilizzati, quello verbale e quello figurato è possibile cogliere le diverse e stimolanti possibilità dei due codici. Esperienza quest’ultima che mostra la volontà di Basquiat di utilizzare ‘una sola lingua per tanti linguaggi diversi’ che lo vedranno barcamenarsi dal ‘fare' arte al ‘fare' musica, al suo vivere costantemente ogni esperienza come ‘in sospensione’, in bilico sul ciglio di una catastrofe che sentiva arrivare, e che arriverà quando dal crinale i suoi stessi ‘fantasmi’ lo spingeranno nell’abisso profondo della droga, in un eccesso di colori che ben presto inghiotte la sua giovane vita.



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