Pubblicato il 05/12/2007
Mario fermò il mio impeto e mi disse una volta finita la sua sigarettina: “Se magari provi a fermare il sarcasmo disarmante che ci imponi con la tua bocca fetida, vediamo se Luca ha in serbo un ‘idea”. “Bè…dato che in macchina non riuscivo a dormire mi sono informato sul posto dal barista qui all’angolo; conosco anche la via dove ci siamo accampati, bastava leggere…quindi basta dare queste coordinate ai Carabinieri o alla Polizia e siamo a posto con la coscienza”. “Chi telefona!”, chiesi sapendo già la risposta. “naturalmente tu!Chi ci ha convinti a intraprendere questo viaggio?Sicuramente non io!L’ onore spetta a te, caro.” “Va bene è deciso, dobbiamo solamente sgombrar questo posto, dato che non è esattamente un luogo adibito al campeggio”. Lorenzo dormiva ancora e non aveva inteso quello che stavamo facendo Il suo sonno gli impediva di comprendere e, quindi, stancamente, uscì dalla tenda e si buttò all’interno della macchina vicino ad Andrea, anche lui, beatamente nel mondo dei sogni. “Pronto Polizia?Qui vicino c’è gente che sta litiga e urla in piena notte.Si sentono anche rumori di bicchieri rotti perché immagino se li stiano tirando dietro…Un attimo”. In quel momento uscì una sedia volante dalla vetrata. Il rumore fu fragoroso e diffuso tanto che l’interlocutore della Polizia non fece domande su chi ero e che stavo facendo, ma disse solo : “Interveniamo subito”. Noi ci mettemmo nella Punto anche se fu difficile sistemare il peso morto di Lorenzo che si trovava in stato di catalessi. In tre riuscimmo a spostarlo nelle postazioni di dietro, dalla parte del guidatore. Mettemmo la macchina in modo che non si potesse notare e aspettammo, inquieti,l’evoluzione degli avvenimenti. Non vedemmo la macchina della Polizia bensì la sirena.Si udì un – Fermi!- e vedemmo un signore che in fretta e furia uscì dalla vetrata rotta come nei film di Sergio Leone e tentava di prendere la via di fuga.L’uomo non riuscì nel suo progetto poiché un volenteroso e atletico poliziotto lo prese per una caviglia prima che il potenziale fuggiasco potesse scappare. Il poliziotto mise ai polsi le manette e gli urlò in faccia parole che non si riuscivano a comprendere benissimo a causa della situazione concitata.Sembrava di essere al cinema ma quegli attori non erano immagini proiettate su un muro ma erano solidi…non erano neanche attori! Non avevano la voglia di aprir di nuovo la tenda, per cui ci limitammo a rilassarci in macchina.Fu l’unico momento in cui io riuscii a dormir un po’ e recuperar un po’ le forze. Ci svegliò il suono di una mano sbattuta sul vetro della macchina. Un signore con i capelli bianchi ci intimava di andarcene da quel parcheggio.Anche lui urlava: forse era una prerogativa di quella località.Mi chiesi se si trattava di uno di quei requisiti che le guide turistiche mettono quando parlano della comunità di un determinato paese. Una cosa di questo tipo: “ La popolazione di Pincopallina tra le sue caratteristiche è nota nel mondo per la loro parlata simile ad urla di persona incazzata!”.Pensai, come seconda opzione , che si trattasse di una causa genetica dovuta ad inquinamento ambientale per cui tutta la popolazione ha subito un notevole calo dell’udito; da qui l’aumento del volume della voce.C’era anche un a terza opzione: quell’uomo urlava perché stavamo occupando, come i gitani un luogo non adatto.Nooooo, non può essere questo! Prendemmo la macchina e ripartimmo per una nuova meta: un lago nei dintorni doveva aspettarsi il nostro arrivo.L’unica cosa che dovetti fare e informare Lorenzo di ciò che era successo quella notte.
Il tragitto per arrivare a Sulmona stava per concludersi, ma vi era ancora una notte prima di quella manifestazione e quindi, vi era tutto il tempo possibile ed immaginabile per andare a vistare questo lago fantasioso poiché era molto vicino. “quale cosa ti da più fastidio?e cosa più piacere?”, chiesi a Mario. “Mah l’indifferenza forse è la cosa che mi rende più nervoso; quell’indifferenza per la quale entro in posto, un locale e nessuno si accorge d ime!Quando in pratica nessuno ha preservato il ricordo di me in una data situazione.La cosa più bella?Questa è una domanda più difficile: stare insieme con una donna?Farsi una canna?In effetti un’affermazione seria è d’obbligo ora: avevo già riflettuto a questo quesito, prima che tu me lo rivolgessi e sono arrivato ad una conclusione…”. “quale?”,alla conversazione partecipò anche Lorenzo; la sua faccia un po’ tirata dalla fatica per un viaggio che si stava dimostrando più duro del previsto faceva pensare che non era in fondo tanto interessato al discorso. “La questione è nella differenza che forse c’è tra la nostra generazione e quella successiva; certo, noi siamo giovani e quindi non pensiate che questo sia un discorso da vecchi! Vi ricordate la domenica cosa facevamo?Andavamo presso quel posto ancora in costruzione dove prima la nostra città confinava colla campagna e dove ora invece è tutto un insieme di cemento e mattoni, c’è il centro commerciale, c’è la rivendita delle macchine.Vi ricordate quindi? mi ricordo che prima del fischi d’inizio delle partite, quando c’era il sole, andavamo tutti lì e pensavamo ai giocatori che avevamo acquistato al fantacalcio e tifavamo per loro,tutti insieme all’aria aperta, con dietro il pacchetto di sigarette,direi immancabile, anche se poi mancava sempre l’accendino.Ricordate alla fine delle partite?Avevamo sempre voglia di tirar due tiri al pallone e si organizzava una partita,seppur scandalosa!A me manca questo, come a tutti voi…quei ragazzi di adesso non hanno mai potuto far una cosa del genere,sempre davanti al computer oppure a casa a veder la partita.Tutto questo calcio televisivo ha ridotto, non solo lo stimolo all’aggregazione, ma anche l’immaginazione viene a mancare; era bello poter vedere nella propria mente quel giocatore che faceva un gol,te lo potevi immaginare in mille modi diversi partendo dalle descrizioni che il radiocronista faceva.Questo mi piacerebbe rifare e mi piacerebbe non perdere la possibilità di annusare l’odore dell’aria aperta non infestata dall’inquinamento, gustare cogli occhi i colori della natura, poter dar linfa vitale all’immaginazione che secondo me è la base della vita…Ecco, questo volevo dire e mi piacerebbe anche poter visitare i molti luoghi di questo mondo, le loro genti e le loro usanze, ma il mio cruccio sta nel fatto che questa è una possibilità che hanno solo pochi eletti, quei pochi figli di papà.”. Lorenzo rispose: ”Parli d’immaginazione?usala allora! Prendi per esempio alcuni pittori: loro non sono stati fisicamente in tutti i posti che hanno raffigurato ma con l’immaginazione hanno creato dei luoghi che poi rappresentano la speranza per un mondo migliore,oppure una tomba dell’umanità.Loro con i colori i tratteggi, pennellate dolci o dure,possono essere oggi nel Tibet e domani in Spagna.Magari noi non possiamo arrivare al loro livello, non siamo geni, non siamo talentuosi,ma possiamo usare i nostri pensieri, la nostra immaginazione per vivere in luoghi diversi oppure vite diverse, perché no?”. “Forse hai ragione, forse più che girare il mondo con il corpo si potrebbe girarlo con la mente attraverso foto, video, internet; ma come si fa ad avere l’entusiasmo in una città che ti tarpa le ali?Una città dove i ragazzi per divertirsi si mettono in un angoletto con in mano una birra e un po’ di fumo?La nostra città uccide chi ha un po’ di arte e chi ha l’immaginazione; noi forse siamo morti perché non abbiamo la fantasia; quanti libri leggiamo? Abbiamo mai fatto qualcosa di creativo? Io mi ricordo di non aver mai fatto nulla di tutto questo!Sapete qual è la cosa che mi dà più fastidio?”, concluse Luca “i calzini che se ne calano, quelli colla molla lenta e che ad ogni passo che fai, dal polpaccio scendono fino alla caviglie.Questo è quello che non sopporto!”.Ci fu una risata generale, il discorso stava diventando troppo serio.
Ci imbarcammo su una navetta che ci avrebbe portato su una isoletta all’interno del lago; si navigava su un piatto enorme composto da particelle d’acqua dal sapore dolce e leggermente ondulato per colpa della prua della nave che tagliava quella calma zen; un posto ameno aspettava il nostro calpestare dei piedi appesantito dagli zaini formato settimana in montagna che riuscivano a piegare la schiena come un giunco dal vento.Quell’isoletta era così affascinante poiché dava la sensazione di eterna bellezza naturistica la mattina, ma di notte, tra i viottoli posti per indicare la stradine, in discesa e in salita da compiere, si poteva ammirare la porzione meno entusiasmante, almeno per me, della natura: quella parte oscura abitata dal popolo della notte, come i gufi e i pipistrelli e da suoni che non fanno paura in quanto suoni ma in quanto non riconoscibili all’orecchio umano; si tratta di quei suoni che, magari non siamo abituati a sentire spesso o quasi mai, forse perché coperti dai motori della macchine o dai rumori proveniente dalla televisione; l’ignoto fa paura! Ci trovammo a salire fino ad una torretta sulla quale l’affaticamento, muscolare e mentale, causatoci dal sole era mitigato dalla brezza che rendeva tutto più leggero. Forse c’eravamo calati troppo nel ruolo di quelli che facevano un viaggio per capire chissà cosa, che non fu difficile fermarsi a veder la bellezza della natura e, di come il tutto gravita intorno ad un equilibrio perfetto.Avete presente quei numeri da circo dove il provetto circense, per stupire tutto il pubblico attonito, si pone con la punta del piede su un filo sospeso in aria?Questo è quello che intendo io per equilibrio: basterebbe un minimo sussulto per rovinare quel piacevole senso di stupore e trasformarlo in un’orrenda sensazione di sgomento. Quel favoloso paesaggio, dove lo specchio d’acqua dolce rifletteva la luce della palla infuocata appesa nel cielo blu cobalto, e rimbalzava contro i nostri occhi indifesi, avrebbe potuto ispirare romanzi, poesie, drammi di una vita se solo, tra noi cinque poveri esuli, ci fosse stato un degno scrittore che, avrebbe potuto mettere in parola, quello che noi sentivamo su quella torretta.Parole usate come mezzi per esprimere quello che c’è dentro di noi, è una chiemera per gente che usa l’italiano come fosse un pallone da calcio: a pedate!Incapace di dire quello che il nostro cuore vuole comunicare, quello che la nostra mente percepisce dall’esterno e traduce in stimoli nervosi: bisogna invidiare gli scrittori, i reali scrittori, quelli che possono compiere questa traduzione da percezione a parola; grandissimi sono quelli che saltano la percezione perché se la costruiscono dentro di loro e fanno finta, quindi, di percepire informazioni esterne e pongono la parola; si prenda ad esempio Dante, il quale aveva una gran maestria nel comporre i suoi poemi, tanto che la gente crederebbe, in maniera assolutamente veritiera, in un suo viaggio nell’inferno. Quell’atmosfera, o forse la birra, ci fece perdere un po’ la cognizione del tempo, tanto che fu faticoso riscendere giù, con gli zaini e riprendere il battello.Giunti al porticciolo di partenza Mario ebbe un’idea: “Perché nono rimaniamo la notte sull’isolotto?”.Il gelo fu presto fatto nelle nostre reazioni ed io non potevo permettere ulteriori ritardi nel viaggio: c’ era una persona che mi stava aspettando a Sulmona; non potevo perdere quell’appuntamento. Luca senza saperlo, fece il mio gioco: “Non possiamo rimanere, siamo ancora lontanucci da Sulmona e dobbiamo ancora trovare una sistemazione per stanotte, dato che domani inizia la manifestazione!”. Mario era già la seconda volta che provava a scappare: si può chiamare un giovane del genere spirito libero?Cerca forse, di carpire il momento, non aspettar quello che potrà essere in futuro, ma quello che è adesso; se quello che ora è, gli è piacevole, vuole viverlo fino all’estasi; questo è modo elegante per dire che di lui non si può far affidamento per i viaggi. Fortunatamente, la navetta ripartì senza di lui a bordo e quindi non rimaneva che andar a vedere la famigerata Sulmona;non era così distante dal lago, ci trovavamo a pochi chilometri.
13 L’entrata nella città fu difficoltosa poiché la manifestazione era pronta per partire con il corteo.Vi erano divieti a tutti i pizzi e le automobili erano parcheggiate nei posti più impensabili. Parcheggiata la macchina, dovemmo subito ambientarci nella città e soprattutto trovar un posto da dove veder questa manifestazione; la città sembrava una bomboniera: piccola ma si poteva dedurre che in passato fu una città importante per quella zona d’Italia. I suoi palazzi medioevali, la statua di Ovidio, che rinvangava tempi ancor più antichi,le imponenti mura e le porte di accesso che cingevano la città, facevano di questa località un posto accogliente dove sarebbe stato piacevole trascorrere alcuni giorni.Pensai che Sulmona doveva essere stata molto ricca in passato.Ci mettemmo seduti sulle scalette di un palazzo con un campanile. Seduti, potevamo notare un flusso vitale di persone che come fossero un’unica cosa fluiva per il lungo Corso. Il vociare assordante era una cosa che nella mia città non si era mai sentito e per questo mi dava leggermente fastidio:era come se avessi una zanzara che mi ronzasse intorno. I colori che transitavano davanti al mio occhialuto sguardo, attiravano la mia attenzione e mi ponevano delle riflessioni; tanto difficile è elevare dal grigiore una città?è impresa improba concedere ai propri cittadini almeno una vista più rilassante e distesa con colori e movimenti, del proprio luogo natio? E’ impossibile!Almeno quando in una città, chi gestisce la cosa pubblica, non è né un saggio, né un eroe, ma solo un medio cittadino che pone le sue priorità davanti a quelle degli altri. Io ero pronto con la mia macchinetta fotografica per immortalare i momenti più significativi della manifestazione;volevo però che il mio viso non fosse nascosto dalla macchinetta, in maniera determinante, poiché il mio pensiero andava sempre alla ragazza che dovevo incontrar, a Valentina. Il rumore dei tamburi cominciava a sentirsi dalla profondità della villa comunale e quel flusso di persone che transitava davant,i cominciava a diradarsi fino a scomparire aiutato, in questo, anche dalle forze dell’ordine. In lontananza era chiaro anche il suono delle chiarine che intonavano un inno medioevale; girandosi verso la musica potevamo scorgere i primi figuranti e dietro di loro i gonfaloni e i loro diversi e variopinti colori.Davanti cominciarono a passar i rappresentanti della città e le varie delegazioni provenienti dall’Italia e dall’estero. Quest’ultime portavano con loro tradizioni che da me erano considerate leggenda come i nibelunghi, il dio Odino, i vichinghi, i cavalieri della tavola rotonda, l’Orlando furioso. Erano tutte cose che tra loro non avevano nulla in comune e a cui le singole delegazioni non si richiamavano ma che, in me, riaffiorarono come se ne avessi sentito parlar il giorno prima. Erano di vario genere i vestiti portati dalle varie figurine,anche profani, come lo eravamo noi, potevano intuirlo: alcune delegazioni mostravano la loro ricchezza con le pietre preziose al collo e con vestiti le cui stoffe dovevano essere, a occhio nudo, molto costose; avevano anche una certa nobiltà nel passo fieri di far vedere le origini ricche della propria città natale e, un certo autocompiacimento nel sentir l’applauso del pubblico rivolto a loro; altre delegazioni avevano origini più umili e ciò si rifletteva nei vestiti poveri e nella mancanza di orpelli; vi erano i tedeschi che avevano un fisico possente e lunghi capelli biondi e una folta barba.Erano proprio dei vichinghi in carne e ossa; vi erano poi svedesi, cechi, spagnoli. Era un corteo lunghissimo,e mentre i miei amici accompagnavano con applausi il passar ordinato dei vari figuranti, io cercavo con la macchinetta fotografica di trovar bei personaggida immortalare; all’improvviso il cuor cominciò a batter forte: cercando di metter a fuoco un figurante l’obiettivo catturò il viso di una fanciulla che era tra il pubblico alle spalle della persona oggetto dell’inquadratura iniziale; quel viso lo conoscevo benisso ed evocava in me ricordi contrastanti, belli e brutti nello stesso momento. Pronunciai il nome di Lorenzo e gli passai la macchinetta indicandogli il posto dove puntarla e dissi: “Cosa vedi?”. Lorenzo puntò con attenzione e poi mi guardò e pronunciò queste parole: “Silvio, non vedo assolutamente nulla!”. Mi ripresi la macchinetta e puntai di nuovo io: “Non c’è più!”. “Chi non c’è più?Perché ti stai agitando così?”. “Lì c’era Erica o una ragazza che assomigliava a lei”. “Scusa ma può essere Erica?Io non credo!Lei sarà a chilometri di distanza ora chissà a che fare…”. “Bè forse hai ragione tu.Quel viso però è scolpito nel mio cuore, non l’ho dimenticato; i suoi lineamenti , le sue gote; quegli occhi così espressivi che avrebbero fatto invidia a qualunque attore del cinema muto; quelle labbra così carnose da sentir la voglia di poterle assaggiare, l’esigenza di poter appoggiar la tue labbra sulle sue”. Luca mi diede una spallata amichevole: “Silvio senti, senti la sua mancanza, ti piace ancora; questo non lo puoi ignorare; non ne puoi far una questione di principio. Ormai un po’ di tempo è passato e comunque non puoi giudicare una persona senza sapere il perché ha compiuto un gesto del genere; ora però guarda dietro di te, chi vedi?”. Mi girai e c’era Mario; capii a quale conclusione Luca voleva arrivare: “Lui l’hai perdonato no?”. Il mio amico aveva ragione. “Ragazzi dobbiamo trovar un posto per mangiar e per dormire”,Andrea, dicendo questo, stancamente si alzò e fece una proposta: “adesso andiamo a veder la gara,ma intanto che arriviamo presso la piazza guardiamoci attorno per vedere cosa c’è; ho anche una certa fame…quindi il motto è: diamoci una mossa!”. Il corteo era finito e per arrivare nel luogo della contesa ci facemmo trasportare dalle corrente umana;nel cammino individuammo il locale dove poter andar a mangiar e ci affrettammo a prenotare un tavolo per cinque. Arrivati nella piazza il colpo d’occhio fu incredibile; vedere una così grande piazza adibita a luogo di contesa sembrava esser tornati veramente all’età del medioevo;un signore seduto vicino ebbe la gentilezza di dirci le regole del gioco e il ruolo degli anelli, di varia grandezza,posti in vari punti del percorso di gare.Ci spiegò che quella sarebbe stata la prima giornata e la finale ci sarebbe stata l’indomani. I cavalli fremevano all’interno del recinto e i cavalieri si aggiravano in solitudine per trovar la concentrazione prima della gara. La gara cominciò, ma il mio entusiasmo era temperato dal fatto che ero ancora scosso dall’apparizione di quel viso; ero sicuro di averlo visto; montai il teleobiettivo sulla macchinetta e guardai in giro; nulla! Non c’era! La gara finì col parziale successo della delegazione di Pistoia gemellata con la delegazione tedesca.
14 Finita la gara ritornammo presso la pizzeria nella quale avevamo prenotato il posto; era venuto il momento di dire ai miei amici la verità, della vera ragione per la quale avevo insistito per recarci a Sulmona. Una volta che presi la parola, dissi tutto: come avevo conosciuto la pantera alias Valentina, il suo nome, come era caratterialmente, ovviamente non come era fisicamente. Preso dalla concitata narrazione dei mesi che avevano preceduto questo viaggio, non mi accorsi che Lorenzo non aveva il suo viso rivolto su di me, come è normale che sia, quando una persona sta narrando una storia, ma era rivolto altrove.Poi mi guardò e disse: “Avevi ragione tu!”. Era Erica!Lei si girò e ,con modesta sorpresa si accorse di noi.Si avvicinò al nostro tavolo e ci salutò in maniera calorosa; aveva cambiato un po’ il suo look: meno trasgressiva e più elegante; anche nell’incidere della camminata pareva diversa, era più donna, più matura. Aveva cambiato la pettinatura allungando i capelli e scurendoli, non portava più scarpe da tennis e magliette con i gruppi musicali disegnati sopra, ma scarpe da vera donna e magliette strette e molto scollate. Alcune cose erano rimaste uguali: il sorriso che faceva scoprire quei denti bianchi e regolari, quegli occhi che facevano trasparire il fuoco della vita, il profumo della sua pelle che riconobbi nel momento in cui, con lieve imbarazzo, si chinò per salutarmi. “Erica, sei l’ultima persona che credevamo di incontrare qui!”, disse Andrea tra un boccone di pizza e l’altro. “Anche per me è la stessa cosa, certo il mondo è proprio strano!Non ci siamo visti più e adesso le nostre vite si incrociano di nuovo senza averlo richiesto; sentite, ma dove alloggiate?”. Io fino quel momento non proferii una parola, ma la domanda era rivolta a me. “Ora come ora stiamo ancora guardandoci in giro, non abbiamo una meta fissa ma sta sicura che troveremo una sistemazione”. Erica disse: “Ragazzi io ho una possibilità per voi; io alloggio in una casa in pieno centro di proprietà di una mia amica; è adibita a contenere molte persone dato che la sua famiglia è molto ampia, è una casa in cui vengono solo per i giorni di festa; per lei non ci sono problemi”, guardava sempre dalla mia parte, perché sapeva che era una situazione che avrebbe potuto pesare soprattutto ad un tipo, non molto forte caratterialmente, come me. La mia risposta fu vaga dato che il posto per dormire non l’avevamo trovato,ma non le volevo dare la soddisfazione di considerarsi la salvatrice di quei poveri ragazzi: “Sai abbiamo una cosa in mano…nel caso ci vediamo più tardi…tanto Sulmona non è grandissima…”.Lorenzo mi smentì subito: “Erica dicci dove sta questo posto che paghiamo il conto e ne prendiamo subito possesso.Ahi!”.Gli tirai un calcetto da sotto il tavolo. Luca propose: “Dato che grazie a Erica abbiamo la casetta e quindi un tetto sotto il quale dormire, proporrei un brindisi”. Nel tragitto per recarci presso questa casa, Erica non si avvicinò mai a me o io a lei; parlavamo insieme agli altri ma non direttamente tra noi. Una volta sistemati e lavati un po’,forse il nostro odore non doveva essere molto gradevole, ci facemmo guidare da Erica in un borgo o sestriere; se non sbaglio doveva trattarsi del Sestriere di Porta Bonomini; era molto carino nella sua struttura: aveva un cortile non molto grande nel quale erano sistemati i tavoli; un ragazzo metteva i dischi mentre al centro i più preparati si dimenavano in balli di gruppo.Sopra l’animatore vi era incavata in un muro una madonnina che vegliava su tutti quelli che stavano festeggiando. Tutti i miei amici si diffusero tra la gente:Mario e Lorenzo si ritrovarono nella pista da ballo per cercar di imparare la coreografia dell’ultima canzone più suonata in radio. Erica portò Andrea e Luca presso il banchetto per le vivande; io, invece, rimasi a scrutare la situazione. Misi le mie braccia poggiate sulla staccionata posta intorno al cortile e facevo finta di guardare le belle presenze all’interno della pista da ballo che dimenavano il loro di dietro bello sodo, ma non era così: cercavo con le mie palle oculari sbiadite la cui correzione rimane affidata ad un bel paio di occhiali, di vedere Erica, cercare di trovarla tra la folla dopo che me l’avevo persa di vista per un microsecondo, perché un omone grande e grosso mi venne a sbattere, mentre lei si dirigeva con Mario e Luca presso il banco degli alcolici. Mentre il mio sguardo scrutava tra i borgatari danzanti, dietro di me una voce: “Tieni!”.Erica mi aveva portato una Smirnoff bella fresca e pronta da ingurgitare. Io ringraziai e lei si posò vicino a me: era il momento giusto per confrontarci dopo il periodo passato lontano. Si vedeva che era lì per parlare: i suoi occhi dicevano quello che le parole non volevano ammettere; lei mi amava ancora e quei suoi sguardi e quel suo gesticolare le mani in maniera nervosa era una cosa che io avevo imparato a conoscere benissimo; forse voleva riaprire con me, il discorso sentimentale chiuso in maniera troppo repentina ed erronea. “Senti come va?”, esordì lei. Io volevo pesare bene le mie parole prima di parlare e quindi sorseggiai prima un po’ della mia bevanda; non posso dire che mi era indifferente quella ragazza:l’ amavo ancora purtroppo, ma non volevo apparire come quello debole pronto a dirsi subito.Con i suoi gesti mi aveva fatto del male e le ferite erano ancora sanguinanti, non ancora rimarginate. “Bè cosa posso dire?Non posso negare che giorni migliori ci sono stati, non posso dire che quello che mi hai fatto è stato dimenticato, non posso dire che ti ho rimosso dalla mie mente”. “Non lo potrei pretendere…Senti ti posso portare in un posto, qui è difficile parlare in maniera tranquilla”. Mentre passeggiavamo per andare presso il luogo scelto da Erica per parlare le chiesi: “ Senti come mai questo cambio d’immagine?”. “Sono brutta?”, disse lei facendosi vedere da me con una girandosi su se stessa. “No, assolutamente”, dissi imbarazzato, “sei diversa, sei…come posso dire? Più donna, prima magari ti facevi notare soprattutto per il tuo abbigliamento eccentrico e il tuo modo di fare che certo non passava inosservato”. “Ed ora?”. “Ora sei diventata consapevole della tua bellezza e non ti vergogni di questo; prima nascondevi le tue forme, ora come si può ampiamente notare e come gli occhi di tutti i ragazzi confermano, sei splendente e splendida, chi non potrebbe vivere della tua luce riflessa?”. Una voce all’interno della mia testa mi stava dicendo che stavo parlando come un pesce lesso, come uno che non vede l’ora di poterla tenere stretta a sé e non farla parlare.Ci sarebbero stati da parte mia solo baci e ancora baci.Troppo smielato?Non capivo neanche io come mi stesse succedendo in quell’istante.Dopo mesi di analisi personali per capire il mio stato d’animo, per individuare la cusa di tanta infelicità e rimuoverla stavo sempre lì: al punto di partenza e soprattutto con la stessa donna di prima! Arrivammo in posto che rispecchiava il momento: avete presente quei film romantici nei quali ci sono luoghi aperti con il cielo stellato, gli animaletti che sembrano stiano aspettando il primo bacio tra i due fidanzati, il venticello caldo che accarezza il viso della ragazza? La scena del film era quella e noi in quel momento eravamo gli attori principali; io non so cosa mi disse lei, ma mi ritrovai con le mie labbra appoggiate sulle sue, le due bocche si aprirono e le due lingue si rincontrano dopo lungo tempo; ci allungammo sul prato e rimanemmo abbracciati a baciarci. In questo scambio di saliva, in questo scambio d’amore Erica mi apostrofò con un appellativo che avevo sentito o meglio letto poiché si trattava di quel soprannome datomi da una certa persona: ragazza della chat che dovevo incontrare. Da quel sogno cinematografico ci fu un brusco risveglio: mi discostai improvvisamente da lei e la guardai dritta negli occhi; la sua espressione aveva fugato i miei dubbi: era lei quella che dovevo incontrare. “Mi devi una spiegazione”. “Silvio, perché ho fatto questo? Perché ti amo è semplice, avevo capito il mio errore e non sapevo come rimediare”. “Hai fatto tutto da sola?”. “Bhè in effetti no, i tuoi amici hanno preparato tutto”. “Scusa in che senso?”. “Nel senso che grazie al loro interessamento ci siamo trovati qui. Sapendo dei tuoi interessi storici ti hanno portato qui e mi hanno contattata.Anzi è stato Mario a chiamarmi; lui non ha nessuna colpa per quello che è successo vari mesi fa.Ero io che avevo una personalità autodistruttiva, nel senso che dopo varie esperienze non credevo fosse vero aver un ragazzo come te, che mi rispettasse, che mi facesse sentir importante e non mortificante per gli altri.In quel periodo non riuscivo a trovare quell’equilibrio che ho ora; pensavo sempre, ogni giorno che passavo con te sarebbe stato l’ultimo perché il giorno dopo non mi avresti voluto più”. Tra un pianto e l’altro lei continuò: “Io pensavo che,comunque si trattasse di un qualcosa che riguardava solo me.Il fatto è che io analizzo ogni azione, ogni momento della giornata,ogni cosa che mi succede pensando sempre alle conseguenze e al futuro e, quando stavamo insieme, non mi rendevo conto che il presente poteva scivolarmi via velocemente.Quel presente eri tu, ed io ero convinta che non si poteva stare insieme perché mi avresti abbandonata e, allora, per non soffrire,cho reciso in rapporti con te”. Questa confessione mi fece capire che del carattere umano non capivo né capisco qualcosa tutt’ora;mi sono sempre vantato di poter comprendere gli animi della gente, come sono, quali sono i loro pensieri più nascosti, cercarli di portarli fuori; dopo quella sparata di Erica capii che della persona che più mi interessava in quel momento avevo visto giusto la superficie, mentre dovevo afferrare che dietro quella maschera di gioia senza freni, dietro quella originalità nel vestire, nell’intendere la vita c’era qualcosa che la tormentava.Io non sono uno psicologo, né uno che studia il comportamento umano, ma sono convinto che bisogna sforzarsi nel cercare di capirsi in un rapporto;senza pregiudizi, accettando quelli che sono i difetti dell’altra metà. Dopo che io porsi un fazzoletto per asciugare le sue gocce di infelicità che scendeva giù per le sue gote, continuò la sua confessione: “Stare insieme sarebbe stato in quel momento una cosa non positiva, sia per me perché mi deprimevo nel pensare a quello che sarebbe potuto succedere tra noi, sia per te che stava con una ragazza che fingeva non di volerti bene, ma di essere convinta di essere la tua compagna, ma che un giorno ti avrebbe fatto del male.Cercai un modo per allontanarmi da te, non sarei riuscita a dirti in faccia queste cose allora; dovevo trovar un modo per allontanarti in maniera traumatica e in maniera tale da non farti venire dei rimorsi di coscienza; senza far ricadere su di te nessuna colpa”. “Mario si è offerto?”,chiesi io. “Mario poveretto non c’entra nulla, nel senso che il bacio glielo ho dato senza il suo permesso: parlavo con lui mentre ti avevo visto arrivare da lontano.Fu un attimo, capii che così potevo ottenere il risultato sperato: farmi odiare da te!Mi dispiace solo aver messo in difficoltà Mario, ma gli chiesi di stare zitto, glielo chiesi per me, ma soprattutto per te”. Io l’avevo compresa e chiesi: “Ora cosa è cambiato da allora?” “Bè un certo cambiamento l’hai notato pure tu,almeno nel modo di vestire.Ora mi sento più sicura di me e dopo tanto ho capito che non potevo perdere l’occasione di riprovare con te, io ti voglio bene e voglio ricominciare con te, con i miei difetti e i miei pregi”. “Per te è sempre così facile?Prima mi butti nel baratro della disperazione più assoluta e ora sei qui davanti a me che dici che è stato uno sbaglio che non eri pronta…Mi hai messo pure in disaccordo con Mario, non si fa così, questo non è giusto nei miei confronti.Non sono un burattino con il quale giocare, non sono uno che si può manipolare in questo modo né tanto meno sono un ragazzo insensibile è impreparato che non avrebbe capito i tuoi dubbi e i tuoi problemi: i tuoi momenti di depressione li avremmo superati insieme” “Tu adesso mi chiedi di ricominciare, ma come posso io?Chi mi dice che ora non stai fingendo, oppure che tra pochi mesi non ricomincerai a pensare a quello che sarà il futuro, cosa succederà quando finirò l’università; io non sono il tipo che si mette a rinfacciare tutte le volte in cui tu hai rovinato i nostri momenti intimi perché stavi passando un attimo di tristezza.Io non voglio essere come quelle persone che attaccano per difendersi; sapevo di dover accettare quella che sei, come tu dovevi accettare me; dovevi fidarti e non farti fregare da quei dubbi infami che ti mangiano la mente.Non ti dirò null’altro che ti possa ferire ma rifletterò sull’accaduto e me ne farò una ragione.Con te non parlerò mai di ciò che penso io,di ciò che ho passato in questi mesi senza la tua presenza.Il tuo atteggiamento forse voleva dire che non sono il tipo giusto per te!”. Lei si mise a piangere comprendendo che il suo progetto era andato in frantumi: aveva davanti a sé un ragazzo che era stato ferito nell’intimo; Non potevo non essere contrariato, lei non aveva fiducia né nella mia capacità di comprenderla,né nel mio amore nei suoi confronti.La cosa che a ripensarci, mi ferisce tutt’ora, è che lei non mi aveva aperto completamente la porta del suo cuore, dovendo arrivare ad usare dei mezzi infimi per superare l’ostacolo.Fuggire e non affrontare uno psuedo-ostacolo che gli opponeva davanti. “Piangi pure Erica ma penso che non verserai più lacrime di me”.Presi il coraggio di andar via e lasciarla lì.
15 Non rimaneva che prendermela anche con i miei amici, che durante il viaggio mi avevano fatto credere che ero stato io a organizzare tutto; al contrario ero stato vittima di un oscuro progetto, mi sentivo come la pedina del gioco della dama: si intreccia una ragnatela di mosse per arrivare al risultato e alla vittoria finale; certo tutti o quasi i giocatori di quella partita persero: Erica perché non riuscì a convincermi, i miei amici che avevano organizzato il tutto; avevo perso anche io, perché non avevo capito Erica all’inizio e non avevo compreso la situazione del viaggio. Tutte quelle cose dette da me sulla ragazza che mi stava aspettando, su quello che significava per me, erano quindi buchi nell’acqua, e pensavo che i miei interlocutori, cioè i compagni del viaggio, silenziosamente si erano burlati della mia persona e di quello che dicevo. Quella notte decisi di non andar a dormire nella casa dove vi era anche Erica, volevo star da solo; mi incamminavo per Sulmona senza aver una meta precisa,aspettavo solo che sorgesse il sole per far calare un velo pietoso su quel giorno cominciato bene e finito nei peggior dei modi. Passeggiando per il paese a piedi, ramingo, cercavo di immaginarmi come poteva essere ai tempi dei cavalieri: le strade illuminate dai pochi fanalini messi vicino alle locande, i pipistrelli che svolazzano , schivando all’ultimo momento l’ostacolo che gli si pone davanti; poche persone per lo più ubriache cercavano di rincasare, perdendosi tra i violetti di Sulmona.Io ero in cerca, non so di cosa, ma avevo una brutta sensazione, un amaro nella bocca, quel gusto acre che rimane quando finisce il momento della rabbia e arriva il momento della riflessione; non solo il dispiacere per aver dovuto agire in quella maniera, ma anche l’amarezza per non aver trovato a Sulmona, la ragazza dei miei sogni, la ragazza che avrebbe capito ogni mio gesto e ogni mia azione.La ragazza a cui appoggiarti nel momento del bisogno e con la quale dividere tutti i bei momenti. Non vedevo l’ora di tornar a casa mia e rintanarmi nella mia camera, l’unico posto sicuro che ho sempre conosciuto e che non mi mai tradito, coi i suoi pupazzi a farmi compagni; quegli stessi bambolotti che mi tengono compagnia fin da piccolo, che non criticano quello che fai, che non cercano di truffarti, che non danneggiato la fiducia nei tuoi mezzi e negli altri. Non vedevo di poter riprender la mia chitarra, attaccarla al mio computer e poter perder tempo nel far canzoni stonate e mal suonate. Non vedevo l’ora di staccar completamente l’allaccio ad internet che mi aveva solo complicato la vita e quella dei miei genitori con l’aumento del prezzo della bolletta. Non vedevo l’ora di svegliarmi da quel terribile incubo. Passeggiando per strade a me sconosciute, mi imbattei in una zana alberata e piena di verde; in quella si festeggiava, dato che si sentivano urla di gioia, musica e risate.C’erano tende poste all’interno del parco, fuochi accesi e uomini vestiti come nel medioevo.Pensavo che la mia immaginazione era andata troppo oltre; era arrivata alla fase della schizofrenia, dato che vedevo i cavalieri e i cavalli davanti a me!Mi avvicinai e non parlavano l’italiano e pensai: “Ecco la lingua che si parlava allora, forse ho viaggiato nel tempo senza accorgermi di nulla!”. Con i gesti mi invitarono a stare con loro, a mangiare con loro; l’invito non era malvagio dato che stavano cucinando la cacciagione sul grande fuoco al centro dei festeggiamenti. Mi diedero dei vestiti, del tempo, colorati e non eccessivamente profumati, ma d’altronde io ero profumato?Non potevo rifiutare il loro grazioso invito e mi misi acconto a loro.Vi era un giovane che rallegrava tutti, forse si trattava del giullare da campo; si mise al centro della scena e cominciò a ballare con un pazzo cercando di coinvolgere la sua gente; la scena più divertente fu quando prese una grassa donna con due seni giganti per ballare, ma la donna era troppo grossa per muoversi come l’uomo, tanto che cascarono; il giullare di campo finì sotto e cominciò a inveire contro la donna, tra le risate generali.Io non capivo quello che diceva, ma i suoi gesti erano già molto espliciti Mi offrirono da bere e io bevvi, mi offrirono da mangiare e io mangiai. Mi svegliai la mattina seguente, grazie all’intervento di una donna che mi scosse. “Dove sono?Ho un gran mal di testa”. “Evidentemente ha bevuto un po’ ieri, ma scusa tu non sei tedesco?”. La ragazza parlava italiano, forse avevo rifatto un viaggio del tempo al presente: “Non sono tedesco, ma tu come mai parli italiano?”. “Forse ancora non ti svegli o ieri ha bevuto troppo.Comunque per tua informazione, e per rispondere alla tua precedente domanda, sei nell’accampamento che noi abbiamo organizzato per la delegazione tedesca che è venuta per partecipare alla giostra”. “Allora non ero nel medioevo!”. “Cosa dici?”. “Non ti preoccupare, è che ancora non mi sveglio…Gli altri dove sono?”. Gli altri si stanno preparando per la seconda giornata della giostra.I tedeschi sono in vantaggio se vincono oggi, vincono il palio. “Bene, tifo per loro perché sono simpatici e perché è gente accogliente, ora però mi rimetto a dormire”. Mi girai dall’altra parte. “Mi dispiace, ma non puoi”.Disse la donna dai lunghi capelli biondi, con titubanza. “Non posso?Perché?”.La guardai in malo modo, come per dire: “Ci mancavi solo tu ora!”. “E’ successo un fatto increscioso: un tedesco ubriaco ieri notte doveva andar in bagno, era in giro per la città; dato che non trovava un bagno pubblico si è calato i pantaloni e l’ha fatta in mezzo ad una via.In quel momento è arrivata una pattuglia della polizia municipale che, ovviamente, lo ha arrestato per atti osceni e vagabondaggio.Ora a questa delegazione manca un uomo per completare il corteo.Dato che con te ieri sono stati gentili, allora direi che è arrivato il momento di contraccambiare, che ne dici?”. Se mi fossi rifiutato l’altra opzione sarebbe stata quella di veder i miei amici e soprattutto di rivedere Erika, cosa che, al momento, non era psicologicamente consigliabile, quindi accettai. Il vestito era molto povero: senza orpelli o gioielli; avevo solo una lancia ed ero molto colorato, tutto il contrario di come si potrebbe pensare che fosse un tedesco; quest’ultimi sono sempre considerati gente grigia, senza fantasia; un po’ come i giocatori: i sudamericani sono estrosi, i tedeschi concreti e professionali. “Senti ma ora che mi sono vestito che devo fare?Io ho dato un’ occhiata ieri ma non so come mi devo muovere”, dissi alla ragazza che mi aveva svegliato.Scoprii che il suo nome era Beatrice, era una studentessa università a Pescara ed era una volontaria; studiava il tedesco e quindi curava i rapporti tra la Giostra Cavalleresca e le delegazioni germaniche. “Tranquillo tu dovrai stare dietro di me e quindi fai quello che faccio io.Se ci sono problemi ci penso io”. Il corteo partì dalla zona di accampamento e proseguì fino alla cattedrale da sola, lì ci incontrammo con i rappresentanti dei borghi di Sulmona e con le altre delegazioni: c’erano svedesi, cechi ( quelli della Repubblica, non i non vedenti!), spagnoli e francesi; vi erano anche molti rappresentati delle città italiane come Pistoia, Arezzo,Bucchianico. Passare per il corso di Sulmona tra i suoni dei tamburi, le chiarine era emozionante; più emozionante era il fatto di passare in mezzo a due schiere di turisti e abitanti che non smettevano di battere le mani. Vecchie signore lanciavano petali di rose rosse dal balcone sui cavalieri pronti a darsi battaglia. I miei amici tedeschi erano i più gettonati tra il pubblico dato che si mostravano come il lato divertente della manifestazione: al contrario di altre delegazioni che ci tenevano all’etichetta e al massimo regalano un sorriso a chi faceva notare la bellezza del vestito o della persona che lo indossava, loro accennavano un inchino e poi togliendosi il cappello gridavano con accento puramente germanico: “Evviva Sulmona!”. Dato che nessuno mi conosceva, anch’io mi feci prendere dalla voglia di far baldoria e quindi mi venne in mente di far come loro e di inneggiare anch’io alla città e ai suoi abitanti con accento tedesco.Capitò il caso che l’accenno di inchino avvenne proprio davanti ai miei amici ed ad Erika seduti proprio alle scalette della chiesa dell’Annunziata come il giorno prima; la loro espressione fu tra lo sbigottito e lo stupito, ma anche io in quel momento ero diventato piccolo per la vergogna. Fu un attimo di evasione partecipare a quella manifestazione senza dover prendere in considerazione la mia situazione amorosa; dover analizzare ogni mio e suo gesto, dover rileggere e reinterpretare i suoi pensieri; dover far lavorare il mio cervello fino alla saturazione più completa e portarlo alla rovina; quell’attimo di divertimento, me lo ricordo come fosse ora, in questo momento, vivo e attuale intorno e dentro la mia mente, soprattutto perché sapevo che, prima o poi l’attimo di euforia sarebbe finito, e sarebbe iniziato il momento della cosiddetta “paranoia galoppante”. Ero consapevole che sarei tornato nella mia casetta a rimuginare al tempo perso con Erika, a quanti sbagli si possono fare nella vita, al fatto che concedere la propria fiducia ad altri non è mai una buona idea; far sapere a tutti i tuoi sogni più nascosti, liberarsi dei tuoi pesi inconsci, non è una cosa da fare a cuor leggero, soprattutto poi quando questi sogni vengono raccontati a persone specializzate che stanno lì per ascoltare te e basta e che espongono domande marzullesche come se fossero capienti di intelligenza,ma invece sono solo cariche di retorica e che, alla fine,nel momento in cui si intavola un discorso, dicono di fermarsi perché l’ora è scaduta e ti mettono sotto il naso la loro profumata parcella; credetemi io ci sono stato!Avere davanti a te una giovane dottoressa, magari alle prime armi che ti chiede perché mai tu fossi lì, come va in famiglia, se ho gli amici e sul perché io, secondo il suo modesto parere, mi dovrei sentire perseguitato, non è una cosa gratificante per la propria persona. Mi gustai ogni ora, minuto, secondo di quella giornata; la delegazione tedesca aveva vinto la gara,e tutti i componenti del gruppo si tuffarono nel campo di gara per festeggiare il cavallo e il cavaliere, per applaudire il pubblico caloroso, per posare nelle tradizionali foto dopo la vittoria;erano pronti bidoni di birra tedesca presso il loro campo, litri su litri da consumare nel più breve tempo possibile.Beatrice fu la più festeggiata, perché era la straniera del gruppo e perché sembrava ci sapesse fare con la gente; anche io ero in mezzo alla pista a festeggiare la nostra vittoria; della giornata mi gustai anche la sera quando, sotto effetto alcolico, riuscii a trovar una mezza specie di approccio con Beatrice e lei fu così felice di venir con me sotto la tenda dove avevo dormito la notte prima a giocare; era la prima volta che mi trovavo a toccare, baciare e ammirare il corpo di una donna che non fosse quello di Erika: il corpo di Beatrice era totalmente differente; il profumo inebriante investiva i miei sensi, la sua caviglia fina, dava alla gamba un senso di snellezza e leggerezza; i suoi seni e suoi addominali davano la sensazione di una persona che ci teneva all’aspetto fisico, il corpo sembrava scolpito;solo il pensiero di poter di nuovo riscaldarmi con il calore di una donna mi portava a raggiungere altitudini di magnificenza mai provati: forse fu la conseguenza della mia astinenza; capii nello stesso tempo in cui raggiunsi l’apice del mio piacere sessuale, che oltre a lei c’era un mondo fuori che mi aspettava, soprattutto c’erano un numero esagerato di donne che potevo conoscere nel loro intimo;alla fine la mia città piena di nebbia e dove nulla si costruisce se non per interessi privati, non era così grande e, pensai, che nel mondo di persone come Erika ce ne sarebbero state tante.
16 Il giorno dopo non ricordo bene cosa successe, ma mi ritrovai già in macchina. Andrea, in seguito, mi ha raccontato che lui e gli altri compari mi ripresero dalla tenda e mi trascinarono con fatica nell’automobile come si porta un sacco di patate. Ero solo, non c’era nessuna donna che dormiva con me; forse, la notte d’amore con Beatrice, non c’è mai stata, forse si era trattato solo di uno stupendo sogno, ma era stato così reale, che, a volte, mi chiedo, se non sia meglio vivere in un mondo di sogni piuttosto che in questa luogo fatto, più che altro, di sofferenze e delusioni; poi però, riflettendo meglio, penso che oltre ai sogni, facciamo anche degli incubi, che non sono, nient’ altro che i fantasmi nascosti nel nostro armadio: alle nostre responsabilità e alle nostre paure non possiamo sottrarci purtroppo! Io avevo collassato, mentre i tedeschi era già tutti in piedi, compresi i bimbi, per smantellare l’accampamento e ripartire. Era rimasta intatta solo la mia tenda con me dentro; i miei amici mi presero e mi buttarono nella macchina, mentre io ero inconsapevole di quello che stava accadendo intorno a me. Alla prima fermata sull’autostrada fermarono la macchina e mi buttarono un po’ d’acqua sul capo per fare riavviare il mio motore celebrale.Feci in tempo a rigettare dalla mia bocca, quello che il mio stomaco non aveva digerito la sera prima. Il viaggio di ritorno sembrò meno lungo rispetto a quello d’andata.Certo che però erano cambiate varie cose: eravamo partiti felici e puliti, eravamo ora sporchi e puzzolenti, ma soprattutto non si respirava più l’armonia iniziale; questo cambiamento si notava anche musicalmente parlando, dal fatto che lo stereo della macchina non passava più una musica veloce e divertente come lo è il punk rock, ma una cosa più, per dirla all’inglese maniera, più easy. Ci eravamo abbassati a sentir la radio,forse perché dopo alcuni giorni di destabilizzazione, mamma radio, assicura la gente: ti manda canzoni senza pretese, fa un po’ di gossip, c’è il solito comico che ironizza sul fatto del giorno, c’è il solito direttore di un misconosciuto giornale e o di una televisione che vede solo mia nonna, e che sottolinea in chiave giornalistica il fatto del giorno, c’è il motivetto mandato dal d.j. che vuol far riflettere sul fatto del giorno. Ci fermammo in un posto per finire il rullino fotografico e svuotare la vescica e ripartimmo. In quel momento di calma, nel quale Lorenzo guidava,Luca gli sedeva a fianco con la sua sigaretta, Mario sulla destra, Andrea sulla sinistra, dietro con me, colsi il momento in cui l’euforia del giorno prima e i buoni propositi erano finiti.Mi fece ritornare alla realtà la telefonata della mamma, la cara e dolce mamma sempre pronta ad alleviare i dolori del mio spirito. “Come è andata?Non ti ho telefonato perché non volevo disturbarti, non volevo che i tuoi amici si rompessero perché c’è la mamma di uno che stressa l’anima!”, mia madre non ha mia nascosto le sue intenzioni su quello che vuol dire veramente. “Dai, mà! Non dire così, tanto qua ti conoscono tutti, li hai visti crescere no?E’ andato tutto a meraviglia…Cosa?A che ora torno?Penso all’ora di cena!Che fanno i miei amici?Bè non so!Va bene chiederò e se va bene ti faccio uno squillo sul telefono ok?Baci mà”. “Ragazzi volete mangiar a casa mia?così finiamo in bellezza questa vacanza ok?”. Posso dire con certezza di aver notato sul viso dei miei compagni un certo sollievo in quella proposta; i pranzi e le cene della mia mamma sono sempre stati una cosa di cui mi sono vantato; sono sempre stato in procinto di farmi insegnare, dai miei genitori, la sacra arte della cucina, ma, come sempre, i miei discorsi e le mie voglie si sono dissolti in un attimo, nel vuoto perdere dell’ozio più totale. Alla fine non potevo avercela con i miei amici per quello che era successo; penso che loro abbiano visto un loro amico in difficoltà e hanno cercato di riavvicinarlo alla donna che è stata sempre nei suoi pensieri. Loro hanno cercato di porre rimedio, e io non ho capito in quel momento, accecato da, non so quale tipo ti rabbia o emozione.Tra di noi non siamo mai stati tanto aperti, abbiamo fatto sempre gli uomini duri, chissà poi perché; dire ciò che si pensa, aver un bel pensiero da dire, non può essere etichettato come un concetto detto da una femminuccia.Io credo che si è uomini solo nel caso in cui si riesca ad esprimere ciò che l’animo nostro vuol dire, usare le parole come mezzo per far comprendere cosa ci attanaglia in quel momento. Io dissi allora: “Ragazzi…Scusatemi, non avevo capito, sono il solito fesso che non riflette prima di parlare”. Loro non vollero sentir dir altro e cominciarono a prendermi in giro; riprendemmo, nella nostra amicizia, da dove ci eravamo lasciati. Ormai eravamo tornati nella nostra vecchia città; eravamo troppo stressati per aver voglia di andar a vedere altri luoghi o incontrare altre persone; il fatto che il nostro stomaco reclamava un po’ di cibo, ebbe una parte fondamentale, nell’accelerare il cammino verso il nostro luogo natale. A Sulmona, infatti il cibo fu l’ultimo pensiero, poiché numerose furono le distrazioni; i ragazzi, infatti, quando io mi ritrovai da solo nell’accampamento tedesco, erano intenti nel corteggiare le donne presenti nella casa messa a disposizione da Erika. Nella casa, erano presenti ragazze straniere, e la proprietaria la mise a disposizione come fosse un ostello.Ora faccio una domanda e mi do anche una risposta: cosa hanno intenzione di fare delle donne straniere, in Italia, in una casa dove ci sono dei baldi giovani italiani, in giorno di festa e con la consapevolezza che qualunque cosa sarebbe successa, si sarebbe conclusa quella sera e non avrebbe avuto seguito, con buona pace di fidanzate e fidanzati?Io credo che una serata, posta in questo modo, accompagnata anche da un buon vino lascia sperare che buona parte degli abitanti della casa, si possano accoppiare. Non fui così indelicato da entrare nei particolari, ma i miei compagni si dissero ben felici di aver passato una gustosa notte con delle splendide ragazze.Alla fine furono loro, e non io, ad ottenere un po’ di amore, seppur era da considerarsi amore temporaneo. Una volta arrivati a casa mia ci mettemmo d’accordo nel vedersi da me all’ora di cena: una doccia rinfrescante avrebbe aiutato tutti. Io tornai a casa e ritrovai tutto come lo avevo lasciato: il cane che dormiva tra le gambe rassicuranti di mio padre, mia madre in cucina a preparare qualcosa di sostanzioso per il suo figliolo adorato. Io mi rapai i capelli, a dir la verità, quelli che erano sopravvissuti alla mia impellente calvizie e la barba; feci scorrere sul mio stanco corpo, un getto violento di acqua fredda e poi mi passai la spugna intrisa di un balsamo tonificante e profumatissimo. La mamma aveva preparato, un ottimo antipasto con prosciutto, salame e carciofini; un grande primo cioè delle tagliatelle prodotte dalle forti braccia del mio papà accompagnato da salsicce e patate al forno; non poteva mancare il dolce: era una torta a prima vista fatta di crema con la panna, ma vi era la sorpresa, cioè quando la torta venne tagliata, e la prima fetta tolta si poteva notare quello strato di cioccolata che avrebbe addolcito in maniera decisa, il palato. Io, come del resto i miei amichetti, mangiammo tutto senza lasciare le briciole nei piatti. Con quella cena si poteva dirsi conclusa quella esperienza; magari non si può considerare tale viaggio come una qualcosa che ci ha cambiato la vita; uno viaggiando non cambia animo e carattere, ma vede posti che vanno al di là del proprio naso, può assaporare sapori che la tua terra non produce, sentire odori che la brezza che scivola per i vicoli della tua strada non trasporta. Tutto ciò non ti cambia, ma può aiutarti a farlo perché capisci che il mondo non gira intorno a te, perché quello che tu hai conosciuto, visto e imparato del mondo è solo una minima parte di quello che lo stesso pianeta Terra ha da mostrare; se potessi avere la bacchetta magica mi piacerebbe desiderare poter sapere cosa pensa un arabo che si sacrifica per la causa, sentir il rumore delle cascate in America, poter respirare l’aria sul Tibet,poter correre sulle pianure con le gambe di un ghepardo, poter veder cogli occhi di una lince: vorrei la comprensione del mondo. Purtroppo questo non è possibile, a meno che non siamo degli dei, ma allo stato delle cose non posso confrontarmi con dio. Allo stato delle cose, posso però considerarmi contento di quello che ho: degli amici che pensano in senso assoluto e dei genitori che sono sempre pronti a darmi il loro appoggio, e, forse, ancora una ragazza che mi vuole bene.
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