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La bomba

di Lorena Turri
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Pubblicato il 30/01/2008

Come ogni giorno, Arturo era alla guida dell’autotreno della ditta presso la quale lavora.
La sua mansione consiste nel recarsi in alcune aziende a recuperare materiali cartacei destinati al riciclo.
E’ un bel lavoro. E’ come riciclare denaro, ma è denaro pulito, a meno che qualcuno non faccia il furbo.
E’ un lavoro ambientalmente utile, che risparmia un gran numero di alberi dalla decimazione e dà un colpo di mano anche alla lontana Amazzonia che alla verginità delle sue foreste ci tiene in particolar modo. Un valore, la verginità, che anche i giovani, sorprendentemente, sembrano aver riscoperto.
Non a questo, però, Arturo stava pensando quando, verso l’ora di pranzo, era in procinto di addentrarsi nel caotico traffico del capoluogo toscano con quell’ingombrante mezzo.
Doveva raggiungere una tipografia che tra giornali, riviste e scartoffie varie, buttava al macero anche le “novelle scritte a macchina” di Gianni Rodari, che nessuno legge (e scrive) più da quando è uscito “Il codice Da Vinci” e le “favole”, che si raccontano e si ascoltano al telefono, ora, si chiamano intercettazioni.
La sua prima preoccupazione, infatti, fu quella di sganciare il rimorchio in un agevole parcheggio.
L’enorme piazzale dell’Esselunga di Osmannoro è il più frequentato dai camionisti per le sue notevoli dimensioni e fu proprio lì che si diresse, appena uscito dall’autostrada.
Arturo non ha mai capito perché l’abbiano chiamata “esselunga” anziché “ilunga”, che sarebbe stato molto più facile e rapido trovarla nell’ordine alfabetico, ma essendo una persona rispettosa delle scelte altrui, non ne ha mai fatto un dramma.
Tra un pensiero consonantico ed uno semiconsonantico, pensò anche di consumare in quel luogo il pranzo, dal momento che il suo stomaco borbottava reclamando un adeguato sostegno.
Non lontano, in un angolo tranquillo del piazzale, vide il furgoncino ben accessoriato di veranda, tavolinetti e sgabelli di un porchettaro ambulante.
Decise di comperare, non già una consonante, ma un succulento panino con la porchetta e di mangiarselo al fresco nella sua cabina di guida. Nel frigo portatile aveva tutto il resto per completare il pranzo: acqua, birra, frutta e Baunty, i suoi dolcetti al cocco preferiti.
Il suo occhio fu attratto dalla scritta di un cartello che attivò repentinamente i suoi succhi gastrici: “Panino Bomba”.
“Che c’è dentro la bomba?” chiese al porchettaro.
“Peperoni, cipolle, salse piccanti e porchetta, ovviamente.”
“Me ne prepari uno, ma ci metta tutto in quantità moderata…non vorrei che mi esplodesse nello stomaco!”
Mentre l’uomo si accingeva a tagliare la porchetta, Arturo sentì uno dei due avventori, che poco più in là stavano gustando le loro “bombe”, dire all’amico:
“Ehi, eccola! Guarda com’è bella stamani, tutta vestita di rosso! Madonna quant’è bona! E’ lei la vera bomba!” additando uno schianto di ragazza che si stava avvicinando al furgoncino.
Arturo non poté fare a meno di voltarsi e di notare tutto quel bendidio di femmina dai tratti somatici e dal colore ambrato della pelle tipico delle sudamericane, che tracimava procaci rotondità dall’attillato body rosso e dagli ancor più attillati pantaloni rossi.
Non si trattava di Cappuccetto Rosso sul punto di essere divorata dal lupo famelico, bensì della stuzzicante e appetitosa commessa del porchettaro che iniziava a quell’ora il suo turno giornaliero di lavoro.
Alla domanda “ Lo mangia qui il panino o lo porta via?”, Arturo rispose: “Lo mangio, qui, grazie, mi dia anche una birra”, cambiando sul momento la decisione presa precedentemente di consumarlo sul camion.
Molte donne, è risaputo, hanno il grande potere di riuscire a stravolgere in pochi minuti le scelte maschili e quella donna, oltre al potere, di grande aveva anche altre prerogative che, nel gergo del camionista e non solo, si chiamano tette e culo!
Si sedette ad un tavolo e quella bomba di femmina gli servì birra e panino.
Oltre ai succhi gastrici, anche qualcos’altro si stava attivando nel corpo di Arturo alla vista di quel fondoschiena che la bella ragazza ora gli stava dimenando sotto il naso, con il pretesto più o meno giustificato di lucidare il cartello dei prezzi!
Mentre Arturo cercava mentalmente di mettere insieme qualche parola per un abbordaggio sicuro e fruttuoso, uno strano, ma non troppo, rigonfiamento sotto la patta dei suoi calzoni, evidenziava vistosamente la sua eccitazione e certo il merito o la colpa non era da imputare né ai peperoni né alle salse piccanti.
Tra un boccone, un’occhiata e una tiratina al cavallo dei pantaloni che stava prendendo il trotto, notò che il porchettaro si era allontanato dal suo banco dirigendosi verso i rimorchi parcheggiati più in fondo.
“Vuoi vedere” pensò Arturo sospettosamente “ che qui, per una “sveltina”, se ti va bene, o, nel peggiore dei casi, per una sega, c’è da metter mano al portafoglio? Sarà meglio che stia calmo…mi sa tanto che il porchettaro e la bella porca sono due furbastri di carriera!”
Distolse lo sguardo dal procace sederone per seguire i passi dell’uomo; lo vide addentrarsi nel corridoio che si era formato tra due rimorchi in sosta e fermarsi proprio in fondo a gambe leggermente divaricate. Dalla posizione assunta e dai movimenti delle braccia capì che stava armeggiando con la cerniera dei calzoni, come chi ha un impellente bisogno di pisciare, ma non ancora sufficientemente convinto che quello fosse il suo intento, continuò ad osservarlo.
Anche Arturo è avvezzo a compiere le sue minzioni nei luoghi più disparati e solitamente lo fa restando fermo e lasciando vistosi pozzetti che, scaldandosi al sole, esalano un fetido odore.
Quell’uomo, invece, o per gioco o per accelerare il processo di esalazione in modo da cancellare più in fretta ogni traccia della sua escrezione, una volta dato l’avvio alla minzione, prese ad indietreggiare sparpagliando la sua urina a mo’ di serpentina lungo il corridoio.
“E’ ovvio!, nel parcheggio dell’Esselunga si piscia ad esse lunga!” dedusse Arturo, non poco sorpreso da quel bizzarro evento, intanto che la sua mente stava già elucubrando su quale poteva essere il modo più idoneo per pisciare nei parcheggi della Coop o della Conad.
Ma le sorprese per Arturo non finirono lì.
Com’è noto, al termine di ogni pisciata, gli uomini sono soliti procedere alla cosiddetta “sgrollatina” per far sgocciolare gli ultimi residui di urina, prima di riporre l’organo urogenitale.
L’uomo fu bizzarro ed originale anche in quest’ultima fase della minzione. Non si limitò a sgrollarlo una, né due, bensì tre volte, compiendo, ogni volta, dei grandi salti a gambe allargate molleggiandosi un poco sulle ginocchia.
A quella vista, Arturo si ricordò, in merito, della tesi di un suo amico il cui assunto è: “La terza sgrollata è quasi una sega!”
Il porchettaro, riassettandosi i pantaloni con aria soddisfatta, fece ritorno verso il suo furgone dove, nel frattempo, era giunto un signore distinto, in giacca e cravatta, con l’aspetto da raffinato rappresentante di commercio.
Doveva essere un cliente abituale perché il porchettaro lo salutò calorosamente con una energica pacca sulle spalle, pulendosi così ambedue le mani galeotte sulla sua impeccabile giacca.
“Che ti preparo di buono?” chiese l’esercente.
“La solita bomba” rispose l’ignaro arrivato per il quale Arturo provò un forte sconvolgimento interiore accompagnato da un senso di mesta solidarietà.
Così l’uomo, ripreso il suo posto dietro al bancone, ignorando nel modo più assoluto che esistono acqua e sapone per detergere ogni impurità, con le sue luride mani schiaffò dentro ad un panino peperoni, cipolle, salse piccanti e due belle fette di porchetta. Lo avvolse in un tovagliolino e, con il più cordiale dei sorrisi, lo porse al malcapitato cliente che subito lo addentò manifestando tutta la sua approvazione per la squisitezza.
Arturo, dal canto suo, nel breve tempo che aveva trascorso in quel posto, aveva provato le emozioni più svariate: dall’eccitazione delle papille gustative per il profumo invitante del panino bomba, a quella sessuale al limite del desiderio di violenza carnale per l’avvenenza della commessa, fino al più completo disgusto che si stava palesando in conati di vomito.
La “bomba” stava facendo il suo effetto e certo il merito o la colpa non era da imputare né alle salse piccanti nè al fondoschiena esorbitante della bambolona in rosso.
Il suo pisello si era ritirato e tristemente nascosto dentro una piegolina dei boxer e il pranzo, con un rigurgito, fu deposto, in memoria, vicino ad un rimorchio.

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