A ferro e fuoco l' ordito degli occhi
che fosse stratagemma buono per le vene questo succo
lo dissi dagli spruzzi che mancarono la ceramica d' un soffio.
Per distruggerti ti guardo, per sondare l' insondabile sprofondo
così come mi abiti ancora, ancora ti cavo
e via, lungo la dorsale biforcuta, fino alla cruna dell' ago in gola
per cui passi e non passi, ad ogni parola segregata.
Dogma del mio folle amore.
I paradisi che inventai col furore dei miei mai deliri d' oro
li hai abbandonati nell' acquario prima del travaso che vollero i medici
per ripulire i fluidi e le superfici del sudario di contatto.
Condutture che si vuotano per lasciare spazio a nuovi avventori
di lenzuola pulite e pasticche colorate.
Col senno di poi, coi seni d' allora, mi sei rimasta in grembo.
La velocità con cui cambi partito non ammette staffette
e la bandiera a prendere il vento, qualunque vento
purchè la agiti lungamente, la pianterai su quale crosta terrestre
dalle curate basette?
A separare le diocesi degli obblighi e dei comandamenti.
Con i versi potessi rapirti chiederei un riscatto di stagioni senza vertebre
ma metto solo una taglia sulla mia testa.
Mi danno la caccia certi pensieri di futuri transitori
che in definitiva mi trovano in fondo agli incubi.
Dove spargo il tuo sangue in un rito di fertilità postumo
che prevede mangiarti dal cordone ombelicale
non appena partorito nostra figlia.
A che serve allora? A far sparire la matrice.
Come sono in auge quando la parete s' assottiglia!
Ed entro ed esco dalle stanze della mia mente divisa come un fantasma!
Anch' io mi do in pasto, quanto basta per esimermi da sensi di colpa.
La turbolenza dell' elica, la vorticosa concupiscenza della mia ascesa
non ammette apici da cui non ci si abissi
in un rimbalzo di frequenze spudorate, spesso in antitesi.
Schizofrenico, primordiale, condiviso brodo di giuggiole.
Quest' idea del possesso è così stantia
è un po' tua, è un po' mia, ad ogni cambio di stagione.
Terrò per me le tue scarpe con i tacchi a spillo viola
dovessi mai calcare qualche palco alla deriva!
Tu invece bruciala questa poesia se vuoi chiamarla poesia
oppure ignorala o piantala, con un atto di psicomagia
nel vaso fuori al balcone. Non sia mai ti basti.
Ma si, a fanculo Jodorowsky.
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