Pupazzi di neve,
nuvole di cartapesta
Del colore godono il piacere,
il gusto prelibato di
non esistere mai più
Chiunque abbia conosciuto Lucio non ricorda il suo aspetto fisico, ha dimenticato le parole scambiate con lui, non ha memoria neppure di un episodio simpatico che lo ritragga perché quest’uomo né alto né basso, né vecchio né giovane, né magro né grasso, nella realtà e per la realtà non esiste. È una scheggia di disordine in un mondo soltanto apparentemente ordinato.
Oggi
Ore 14. Al suono della campanella i ragazzi raggiungono il cortile saltellando come grilli d’estate, si diramano ognuno verso la propria casa mentre, seduto sul muretto, Ignazio aspetta quella ragazza dai colori del mare. Il sorriso le si infrange come un onda sugli scogli quando lo vede e sbatte le ciglia facendo smuovere una chioma bionda come il sole. Nella confusione della gente e nei rumori della città scende per le scale in silenzio un opaco alone di trasparenza, passante senza sosta, visitatore inatteso del gomitolo di strade attraverso le quali cammina ogni giorno fino alla solitudine della sua casa. Un saluto al portiere, uno sguardo allo specchio nell’ascensore, un giro di serratura e un tonfo sul divano. Poca cosa è il pranzo che la madre gli fa trovare pronto ogni giorno in cucina. La sua mente è impregnata di un senso di frustrazione e desiderio di rivincita che la sua condizione non gli consente di trovare. La sua mente è frastagliata, come i suoi pensieri. Le sue parole inesistenti. La sua comunicazione assente. La sua figura è vetrata. Tra un boccone e l’altro, tra una riflessione e una telefonata, tra il clacson della macchina del vicino di casa e la televisione che rumoreggia perfino spenta, Lucio si addormenta con la testa appoggiata sull’avambraccio. Nel frattempo il mondo gira intorno. Si risveglia, si riaddormenta, è ormai l’ora del tè. Afferra l’ombrello, scende per le scale e passeggia facendo attenzione a non urtare i passanti per non infastidire la gente, affinché il suo passaggio trascorra inosservato. Siede su una panchina e sbriciola a terra un biscotto in attesa dell’arrivo dei piccioni e, quando si accorge che l’ultimo granello è stato divorato e che l’universo intero sembra intento in altro, tira dalla tasca un libretto dalla copertina rossa e lo apre alla prima pagina.
Perché vi sia sempre più gioia nel dare che nel ricevere…
Annota in alto a destra con una grafia pulita e chiara come quella di ogni professore.
Ieri
Per la scuola vagava con le mani penzoloni, gli occhi bassi, il sorriso smunto come chi doveva vergognarsi di qualcosa, di qualcuno. Vergognarsi di essere, esistere. Lucio aveva sempre lo zaino pieno di libri poiché – strano a dirsi per un ragazzo di quindici anni – adorava leggere: ascoltare le lezioni quotidiane era diventato così tanto un peso che, non appena i suoi prof iniziavano a spiegare, di nascosto prendeva il libro del momento e iniziava a far volare la sua mente altrove, dove nessuno lo avrebbe mai potuto raggiungere. Il suo compagno di banco era ormai abituato ai continui rimproveri, agli strattoni dinanzi all’ennesimo richiamo della prof di latino e ai pizzicotti sulle gambe per un suggerimento nell’ora di matematica, eppure Lucio di tutto questo non aveva la benché minima preoccupazione poiché riteneva più utile estraniarsi piuttosto che infangare la sua mente con le sozzerie spiegate in aula. I compagni lo conoscevano e lo rispettavano perché, in fondo, tutto sommato, dal profondo silenzio del suo mondo, Lucio non faceva del male a nessuno, anche se non riuscivano a trattenere lo sbadiglio quando interveniva per scambiare qualche opinione con il prof di religione.
Un diverso ieri
Via Toledo. Paul aveva uno sguardo sicuro. Si muoveva veloce tra la gente con le mani nelle tasche dei pantaloncini. I riccioli scuri incorniciavano un volto con lentiggini che qualcuno gli disse appartenute a un tale Rosso Malpelo e una borsa di pelle nera a tracolla gli pendeva su una spalla. Di fare quanto gli aveva detto la madre non aveva alcuna voglia. Chiesa, scuola, barbiere: luoghi che malvolentieri il ragazzo frequentava, ma che tuttavia la madre gli imponeva come la frutta a fine pasto o la verdura almeno tre volte a settimana. Circoletto, baretto, amici: queste erano le cose preferite da Paul, ma da cui la madre tentava in ogni modo di allontanarlo. Avrebbe speso tutti i suoi risparmi in partite a bigliardino, bibite fresche al bancone e proibiti sigari cubani. Il suo mondo a colori si spegneva di ritorno alla sua vecchia casa, nei continui litigi con un padre troppo assente e fratelli troppo rumorosi. A Paul tuttavia il rumore non infastidiva, anzi esaltava il suo spirito libero, la sua estasiante voglia di sentirsi primo fra tutti, unico tra la folla. Nelle sue giornate di libertà non poteva proprio sopportare il Maestro, quello che per forza gli imponeva di vedere la vita in bianco e nero, come i suoi capelli, la sua barba, come quelle lettere che necessariamente doveva imparare a leggere e scrivere su fogli bianchi. Roba da gente ordinata. Roba da trasparenti, non da ragazzi colorati come lui, come tanti.
Il nuovo oggi
Scaccia un piccione con la mano sinistra mentre stringe il giornale sotto il braccio destro. Il pomeriggio è appena iniziato, ma di colorato fino ad ora ha visto soltanto il rossetto sulle labbra della segretaria dell’ennesimo figlio di puttana che lo ha messo alla porta pronunciando una consueta ordinatissima frase. È difficile ottenere una vita ordinata per chi, come lui, aveva trascorso giorni, mesi e anni nel pieno disordine, eppure colpisce cartacce per la strada con il suo destro imitando un calciatore e pensa che non consentirà mai e poi mai a nessuno di rendere i suoi giorni in bianco e nero. Così torna a casa con la bocca impastata di nuove bugie, gli sembra che il mondo non sia mai stato di un colore diverso di quel rosso che spicca sulla panchina di Piazza Municipio, come una goccia di sangue in un mare di acqua.
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