Luciano Ferrari ha dedicato tutta la sua vita a “seguir la canoscenza”, convinto di non esser stato generato “a viver come bruto”.
Nato a Carrara il 5 Giugno del 1939, orfano di un partigiano della Brigata Garibaldi, sin dai primi anni vissuti in collegio, ha dedicato le sue ore libere e il tempo delle punizioni per apprendere, leggere e porsi domande.
Questo è stato il Leitmotiv della sua vita: leggere, conoscere e condividere quanto appreso e rielaborato in modo del tutto personale. Difficile poter sintetizzare chi fosse Luciano Ferrari: insegnante, istruttore di pesistica, amante della politica in senso etimologico, grande idealista, fiero di essere comunista, sarcastico e provocatore e questi sono solo alcuni degli aspetti della sua poliedrica personalità.
Nonostante gli fosse stata offerta la possibilità di proseguire gli studi sull’imperatore Giuliano l’Apostata, dedicandosi alla ricerca, per motivi economici iniziò a lavorare come docente, prima nella Scuola Media, poi nelle Scuole Magistrali e, infine, scelse di seguire la sua “chiamata” prediligendo un ITIS. Insegnare Italiano e Storia in un Istituto Tecnico fu una scelta voluta e consapevole per far conoscere la nostra Letteratura a ragazzi che, per indirizzo di studi, non avrebbero potuto apprezzare appieno la bellezza della nostra Lingua; al tempo stesso si sentiva in dovere di fornire le chiavi utili per capire il mondo contemporaneo attraverso i nessi della Storia. In un periodo in cui non tutti accedevano ai Licei, scegliere l’ITIS significava rinunciare all’insegnamento di materie amate quali il Latino e il Greco per offrire, anche ai figli degli operai, strumenti per diventare uomini. Questo fu il suo modo di incarnare la didattica. Non scholae discimus, sed vitae, amava ripetere e questo sperava di trasmettere ai suoi alunni, ai suoi atleti e alle persone con cui chiacchierava, al bar piuttosto che alla sezione di Rifondazione Comunista.
Numerosi libri allietarono le sue giornate e le sue nottate, compagni di un viaggio reso difficile dalla perdita prematura del padre; nei testi trovava le risposte per la vita anche se, a volte, diventavano la sua turris eburnea, lontana dalla desolazione della società contemporanea nella quale, nel corso degli anni, si riconosceva sempre meno.
Amava scrivere per sé, cesellando la parola, cercando il vocabolo raro, desueto, introducendo hapax legomenon e neologosmi solo allo scopo di rendere ostica la comprensione del messaggio che, col tempo, diventava sempre più cinico e negativo in omaggio alla sua Musa: l’indignatio.
Gli furono compagni fedeli Omero, Dante e Virgilio che conosceva e recitava a memoria, interpretando e riformulando i versi a seconda delle circostanze.
Da Maggio del 2011, in seguito a un intervento cardiaco malriuscito, lui che aveva dedicato tutta la sua vita ad apprendere perché non tramontasse giorno senza aver arricchito la propria mente, rimase per sette interminabili anni avvolto in un silenzio assordante. Altri leggevano per lui, nella speranza di raggiungerlo da qualche parte, perché potesse continuare a dialogare coi padri della Cultura.
Il 15 Marzo del 2018 ha spiccato l’ultimo volo con la Divina Commedia in tasca…