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al testo di Blumez
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La tesa premeva contro il vetro si piegava ma lui non doveva togliersi il cappello: una mancanza nei confronti di Dio. La tesa si rigirava e si appiattiva sugli interni del locale, dal vetro si poteva immaginare una distesa di silenzio lacerarsi al centro come un tessuto stretto ai fianchi. E man mano che si sfoderava verso l’esterno un crescendo intenso più intenso di rumori illegali di un vecchio speakeasy, i tacchi veloci delle ballerine di charleston il profumo dei distillati al chiaro di luna. Il vetro era così pulito da prendersi tutta Chicago i grattacieli e per poco il lago Michigan. Ma quando il sole sgattaiolava tra i grattaceli e si specchiava in alcune ore del giorno, sparivano lestofanti gli interni, la musica, i tacchi. Si compattava il silenzio e il tessuto si faceva morbido. Lui non si preoccupava della tesa nient’affatto il naso e le mani contro il vetro finché gli si avvicinò uno molto casual, con il borsalino in testa e gli chiese il perché. Lui rispose: “La vede la stella a sei punte?” Ma non la vedeva. “La stella di David, disse,e indicò sul vetro” Si levò il cappello premendo sul pizzicottato e appoggiò lafronte: non la vedeva. Riuscì solo a mettere a fuoco la linea dei liquori sopra il bancone di legno, sopra la distesa di sedie rovesciate sui tavoli con le gambe che si intrecciavano ai grattacieli. L’ebreo raddrizzò la tesa senza togliersi il cilindro una mancanza di umiltà verso Dio e se ne andò. “E’ perché si vuole sempre guardare più lontano”, disse. L’altro restò col borsalino in mano, sconsolato e questa volta guardò sul vetro. “Ma allora lei, fariseo, perché guardava dentro, così vicino al vetro da rovinare la tesa del suo cilindro?!” E l’ebreo: “Io la stavo solo baciando”. |
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