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al testo di Robert Wasp Pirsig
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Sostengo il traino e il ruolo del rimorchio ma non li adotto con la conoscenza dovuta: nella storia di un trasporto ha una sua parte la risoluzione della motrice. Vado dietro dichiarazioni, a traino dei suoni; aggancio gli occhi alle forme ma credo che in ogni senso mi trascini l’emozione. Siamo meno che stelle ma l’ignoto ci cova: quanto trasporta? Siamo rotabili, percorsi da colpe che ci solcano e nel tragitto ignorano i segnali dei lavori in corso. Un colpo di sonno ci porta fuori alle volte. Sollevi il mento e vedi coriandoli fermi che fanno la festa a qualcuno che non si può raggiungere. Le mappe stellari appaiono come segreti di cui si parla solo di persona; e si cercano segni per trovare sereno. Dopo la pioggia ho un’altra idea delle brutta aria che trova il sole. La stella sostituta in ogni fede, e ne sono testimone, come sospetto, credo, come poltergeist per verso. Vado dietro voci, figure, apparenze, coltivo giochi di ruolo e sono stalker per Gil, mi infilo nei panni come una lama crea nel tronco la distopia del guardaroba, pieno di pinze a molla dette mollette per indicare che, se ci sei dentro, il vestito non ha un ometto, ma una sorta di tensione sartoriale: la cucitura tra essere ed apparire di sostegno. Sostengo il rimorchio mentre indosso il suo bel maglione, più alto e in forma di me. Capisco l’insopprimibile pesantezza del precedente, sicché superare l’anagrafe è di uso comune quando la sete dell’età ti prende, per ciò se ci fosse sollievo nel bicchiere squaglierei anche il vetro per berne.
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