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Il tunnel d’oro

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Lei attraversa l'alba

con lo sguardo ferito dalla luce radente

che confonde tutta la cupola verde degli alberi

in un indefinito tunnel d'oro,

come se camminasse verso la gloria.

Eppure sa che è la solita strada

densa di miasmi e cartacce e sporcizia,

la solita di ogni giorno,

trasfigurata dall'accidente di essere lì

in quell'esatto momento,

quell'ora esatta, non scelta, ma che le è accaduto

di trovare come se avesse voluto dirle: non è sempre

in quell'altro modo, la vita può essere così,

tu puoi essere così,

una che cammina su un tappeto di gemme,

in un tunnel d'oro, come una principessa delle favole

in un giardino incantato del cazzo,

anche oggi, anche qui. Lascia che il tuo sguardo

ritrovi la luce della meraviglia,

lascia che si spalanchi all'iridiscenza.

Tutto è riflesso, specchio, illusione.

Anche il dolore.

 

 

 Franca Figliolini - 22/09/2019 15:25:00 [ leggi altri commenti di Franca Figliolini » ]

Ferdinando, che bello ritrovarti coi tuoi commenti bellissimi, che sono un dono: grazie! E grazie anche a te Cristina, un bacio ad entrambi, seppur tardivo, dalla vostra Franca

 cristina bizzarri - 09/09/2019 09:14:00 [ leggi altri commenti di cristina bizzarri » ]

Cosa aggiungere al commento di Ferdinando a questa bellissima poesia? In punta di piedi e sottovoce, una cosa: forse non siamo esseri finiti, questi attimi gloriosi ce lo indicano. Una speranza, un’intuizione di un Non-Tempo oltre questo nostro tempo.

 Ferdinando Battaglia - 09/09/2019 06:25:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

Leggo sempre le poesie della Figliolini, tra le peote del sito che più apprezzo, direi da lettore amo, perché la sua scrittura incide, traversando un linguaggio che nulla concede al lirismo evanescente d’un suono che diventi con il suo ritmo preordinato e pulito "incantesimo" per il cuore, e riporta al centro della scena verbale non solo il medium ovvero la teoria di parole accordate nel loro reciproco interrelarsi, ma anche lo "scandalo" che il poeta subisce dalla vita risonandone gli echi nel lettore, che vi corrisponde secondo diversa misura ma, se lacorrispondenza è massima, l’esperienza di lettura diviene estetica ed estatica, pure nella crudezza di quella rottura favolistica, lo scabro e radicale dualismo di gioia e dolore, vita e morte, incisa freddamente e tuttavia incandescente materia del discorso, ovvero lo scarto radicale che ferisce "a morte" l’esistenza: "in un giardino incantato del cazzo" (qui la soluzione linguistica è puntuale e necessaria, per la plasticità evocativa e sintetica dell’immagine che "metaforizza" il concetto sottostante), quello scarto tra l’ineludibile il possibile cui si ribella il grido implicito nei versi finali: il dolore senza redenzione, senza salvezza immanenti , nella sua crudezza lacera sì le carni dell’anima, ma rimane, pur nella sua sospensione trafigurante che su di esso opera l’attimo presente, la certezza radicale di ciò che siamo stati, di ciò che abbiamo vissuto, della nostra finitudine e, soprattutto, della finitudine di chi, amato, ora non è più.

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