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Con la terra di Malta

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Nell’acqua delle cinque sorgenti
nel  recipiente di bronzo ti lavi

e oscilli nell’aria di una tela irregolare
nella fatica del raccolto, nella morte di un caro
nella fame avvelenata in fondo al cielo

Maria innamorata, di Nardò,
di un amore che ti ha lasciato dentro
in un velo di papaveri costretta
a ballare tra i colori  del dolore
la catarsi pitagorica , innocente

la tua cerimonia. É la  cura, Maria,
nel movimento del ragno,
come le madri  che non danno riposo 
ai neonati,  a forza di braccia la culla, 
non già nel silenzio,  ma come una nave
il canto  si muove, assegnando potenza
nutrice dei corpi, nel mare. Sei tu,
progetto di ritorno a quelle braccia,
un canto indietro;  non è follia
quell'incontrarsi  primordiale della  pelle,
nel  profondo di ogni essere.  rimani
della tua meraviglia innamorata

a metà del cammino che tacemmo
lascia che dica delle rose di Duino 
del vento nel lavacro e della musica,

che ti spezza muta nei singhiozzi, che ti placa,
venuta al mondo nei passi di una danza
che io possa dire  da dove  tanto amore,
dalla bellezza zingara e madonna
quando ti muovi

Maria di ora e cresciuta,
con la canicola nascosta della mietitura,
dal bianco abbacinante delle case,
ricoperta di calce sei tornata
col rimorso, al centro dello spazio,
sacerdotessa inconsapevole, di tanto latte
trabocchi quel dolore e danzi
risolta nel raccolto, e donna nuova
coi suoni,   tutt’uno inginocchiati
per stanare la taranta con l'offerta
del violino sulla faccia che ti vibra

La  tua pelle, Maria, è il tamburello, 
percossa nel ritmo ordinatore
dentro è fuori e  il ciclo si ripete. Ti ripeti
tu: taranta, con la testa tra le gambe   
piegate  come zampe d'animale, rotoli
nell'indistinto, sulla schiena  strisci-
smarrita  delle dimensioni- sotto le sedie,
e le travolgi portandole  lontano,
con la pancia nera, salti  in piedi e danzi
nello bianco del lenzuolo, rotei,
cadendo  infine, Ragno potente,
notturno inconscio.

Pura Maria sotterranea, se non è veleno,
cos’è che ti fa danzare fino a San Paolo..
con la speranza di ascoltare, dal forte labbro,
la preghiera e una parola che ti salvi,
che annienti  il tuo dolore sulla croce
di due pietre e ogni anno?

Terra del rimosso di un passato sofferente
che ritorna. Nella cava più segreta

della quercia, anche tu  sarai dimentica:
nel giro di una danza è l'occhio di un bambino
finalmente esploso
dalla rebecca fino all’animale
all’indistinto, te, privilegiata,
per tornare a raccontare tra le  messi
dell’amore di ogni anno, dello sposo
che ti pizzica celeste tra le anche
che ti fa santa,

con la terra di Malta,

impazzita di gioia

 

 Ferdinando Battaglia - 06/07/2014 15:17:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

Difficile ancora ad un lettore semplice, evitare il rischio di una lettura semplicistica o addirittura di capirne le profonde ricchezze, i tuoi testi chiedono sempre una cultura ed una cultura disposta a mettersi in ginocchio.
Mi fa male questa poesia, perché attraversa una passione dolorosa di un’anima, solo per questo e solo dopo, s’impazzisce di gioia (ma è una mia impressione immediata)
MiainsuperabilePotessa.

 Luca Soldati - 06/07/2014 14:00:00 [ leggi altri commenti di Luca Soldati » ]

Versi che si spingono al "confine" (ma tutto il tuo poetare lo è) per una terra di confine. Bellissima Amina, come sempre... come sempre.

Ti abbraccio

 amina - 06/07/2014 10:39:00 [ leggi altri commenti di amina » ]

Ho vissuto là tanto tempo e tanto tempo fa per lavoro quando ancora non sapevo di Rilke, amavo l’acqua così fredda di sistiana i percorsi da opicina a basovizza..il Carso i fiumi ... Sì Lœ
Ogni tanto vado ancora a rifugiarmi tra quegli odori cari ..

 Lorenzo Mullon - 06/07/2014 10:00:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

con la mia bicicletta, alle cinque del mattino, e poi a Lipiza, a salutare i cavalli bianchi, fino alla valle dei pomi
ma le sere d’estate, dopo una bella nuotata, a Duino alla passeggiata Rilke a fare la grigliata di cevapcici bruciando i tronchi secchi del ginepro, quando non c’erano ancora i divieti né i turisti, e non si chiamava Rilke

 Amina Narimi - 05/07/2014 23:53:00 [ leggi altri commenti di Amina Narimi » ]

Porto Rilke sotto il seno
La grazia del suo Rainer
Lo amo come fosse Vivo
Ma non è Lui che cerco
Sul sentiero di Duino
Quel che ha visto ..senza palpebre
che fa cadere il tempo, nelle rose


tutta colpa dell’Arcangelo Gabriele!
quante volte da Sistiana a quelle rose lungo il ciglione delle falesie e giù tra i pini neri il terebinto e i campi.
Fino in cima ai 1700 a raccogliere conchiglie ti ho visto sai, coi fiori rosaviola colorato e le trine dentro gli occhi azzurre
mentre parlavi al falco pellegrino ed io ero in capriole per mano agli scoiattoli su per la griza eppoi ancora sul sentiero della salvia
Quante volte, quante rose, da Sistiana fino a Rilke
e Villa Opicina? salivi all’obelisco?

 Lorenzo Mullon - 05/07/2014 22:34:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

come le rose di Duino? è il mio rifugio . . . devo essere geloso?
rose selvatiche, rose di pietra carsica

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