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Mario Fresa

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DOMANDA.
Come ti presenteresti a persone che non ti conoscono? Chi è Mario Fresa?

RISPOSTA.
Nella vita reale, insegna materie letterarie e dirige due collane editoriali per le Edizioni di arte-poesia L’Arca Felice. Ha scritto qualche libro e ha lavorato come giornalista pubblicista. Nella vita poetica (in quella, cioè, non legata alle contingenze delle noiose attività lavorative che dant panem), è un innamorato della musica e del silenzio.
È un disordinato che ama l’ordine.
Infine, è un amante dei viaggi che odia tutti i mezzi di locomozione.


DOMANDA.
Riporto qui di seguito alcune informazioni bibliografiche che ti riguardano:

“Suoi testi poetici sono apparsi sulle principali riviste letterarie («Caffè Michelangiolo», «Paragone», «Nuovi Argomenti», «Almanacco dello Specchio», «Gradiva», «Semicerchio», etc). È presente in varie antologie, tra cui Nuovissima poesia italiana, a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi (Mondadori, 2004).
Ha scritto un saggio in forma dialogica sulla poesia, Il grido del vetraio, in collaborazione con Tiziano Salari (2005). I suoi libri di poesia sono: Liaison (2002, prefazione di Maurizio Cucchi), L’uomo che sogna (2004), Il bene (2007), Alluminio (introduzione di Mario Santagostini). Ha curato, insieme con Tiziano Salari, un volume di indagine critica a più voci, dal titolo La poesia e la carne (2009)”.

Tutto questo da dove ha avuto inizio? Perché la scrittura? Chi è stato a dirti che sei un poeta, o a dartene conferma?

RISPOSTA.
Prima di occuparmi di scrittura poetica e di critica letteraria, mi sono dedicato alla pittura e alla musica. A partire dai diciannove e fino ai ventidue anni ho studiato canto come baritono e mi sono occupato di critica musicale, scrivendo articoli e recensioni. Dalla musica, poi, sono passato ai versi, per uno strano accidente: essendo piuttosto difficile rintracciare le traduzioni in lingua italiana di alcuni Lieder di Schubert, Schumann e Hugo Wolf, che amavo ascoltare e cantare, mi misi a tradurli io stesso. Mi accorsi, però, che - mentre traducevo - rielaboravo i testi fino a riscriverli.
Lo stesso feci traducendo alcuni libretti d’opera come Il Ratto dal serraglio, Il flauto magico, Didone ed Enea. Mi divertivo, anzi, a scrivere versioni ritmiche, cioè isometriche, in modo da poter cantare le stesse traduzioni seguendo la prosodia della musica.
A poco a poco, però, iniziai a scrivere versi per mio conto.
Dieci anni fa, inviai qualche verso a Maurizio Cucchi. Una sera del 1999 fui raggiunto da una sua telefonata: «ho scelto un suo testo. Sarà pubblicato sul prossimo numero dello “Specchio della Stampa”». Ne fui molto felice. Negli anni successivi, Cucchi ha continuato a credere nel mio lavoro poetico, firmando la prefazione del mio primo libro, inserendomi nell’antologia Nuovissima poesia italiana, uscita per la Mondadori, ospitandomi nel suo Dizionario dei poeti e, ultimamente, pubblicando varie poesie sull’«Almanacco dello Specchio».
La sua generosità e la sua attenzione sono state fondamentali per farmi capire che potevo continuare a scrivere. Sono arrivate altre importanti conferme, poi, da parte di riviste sulle quali non è facilissimo pubblicare, come «Caffè Michelangiolo», «Paragone» e «Nuovi Argomenti».


DOMANDA.
Chi sono i tuoi maestri nella scrittura? Quali sono le tue letture preferite? C’è un autore in particolare che reputi essere il tuo preferito?

RISPOSTA.
Per la prosa: Flaubert, Balzac, Mann. Per la poesia: Lucrezio, Dante, Baudelaire, Leopardi, Pascoli.
Ma ho scolpiti nella mente anche versi indimenticabili di Eliot (in particolare dei Quattro Quartetti), di Mandel’štam, di Rodolfo Wilcock, di Michelangiolo Buonarroti, di Amelia Rosselli.
M’interessano, poi, il teatro (con due antichi amori: Molière e García Lorca), la critica musicale (da Kierkegaard a Hermann Abert), la psicanalisi (Jung, Hillman), i saggi d’arte (memorabili gli scritti di Dino Formaggio dedicati a Pero della Francesca e a Goya), le letture filosofiche (con una tendenza anti-hegeliana: diretta dunque, fondamentalmente, allo studio di Schopenhauer e di Nietzsche; le Lettere a Lucilio di Seneca e tutti i libri di Walter Otto; e, infine, i magnifici saggi di Giorgio Colli dedicati al mondo filosofico presocratico).
Tra le letture più importanti, però, devo citare quelle relative ai testi-chiave della teologia negativa: La Teologia tedesca dell’Anonimo Francofortese (nella benemerita traduzione di Marco Vannini), I Sermoni di Meister Eckhart, Il pellegrino cherubico di Angelus Silesius, La notte oscura di Juan de la Cruz.


DOMANDA.
Per uno scrittore, in particolare per un poeta, quanto è importante la lettura e il confronto con altri scrittori?

RISPOSTA.
La lettura è fondamentale. I confronti spesso imbarazzano e inibiscono (come potresti mai tentare di scrivere una poesia dopo aver letto anche un solo verso della Vita nuova?).
Ma c’è un’altra attività che trovo entusiasmante: la ri-lettura.
Molti libri li ho ri-letti anche cinque, sei, sette volte.
I libri molto amati, consumati e continuamente riletti non sono più gli stessi: perché la scrittura si trasforma, si rigenera, si arricchisce e moltiplica, incessantemente, i suoi volti imprendibili.


DOMANDA.
Che cosa caratterizza la tua scrittura? Quali sono il filo conduttore e l’aria ispiratrice che fin dai primi versi ti accompagnano? Sottolineeresti qualche elemento di diversità o novità rispetto ai poeti tuoi contemporanei, o rispetto alla tradizione poetica italiana?

RISPOSTA.
La prima raccolta, Liaison, era un canzoniere erotico-amoroso, misto di versi e di prose, interamente dedicato alla mia compagna di sempre: mia moglie.
L’immagine scardinante dell’amore come perdita dell’io, attraverso il buio dell’eros e della con-fusione, mi era venuta in mente ascoltando una splendida composizione musicale di Stockhausen, intitolata Liaisons.
Successivamente, mi sono avvicinato a una linea meno personale e più obiettiva, ovvero più sfumata e indiretta, in cui tutto si integra, si mischia e si sovrappone: inganno e verità, invenzione e memoria, vita reale e visione sognata.
Quanto alle diversità o alle novità dei miei lavori rispetto alla poesia contemporanea, non sta a me giudicare, credo. Spetterà agli altri, in futuro: se resterà qualcosa della mia scrittura.


DOMANDA.
In relazione al tuo libro Separazione dalla luce, mi è molto piaciuta questa nota di Francesco Marotta:

Tra tutte le accensioni che premono dietro la pupilla contratta del desiderio, la poesia è l’attimo di una luce che riverbera sulla pagina il chiarore inudibile di una lacerazione, il soffio del distacco, il presagio di un’assenza (…) Il verso dimora nel varco tra due mondi, tra le pieghe amorose di una luce-non-più luce che si pensa, e si osserva, nel suo essere parte di un’ombra-non-ancora-ombra: inafferrabile labirinto di colori già stati o di là da venire, di acque memoriali dove le forme emergono per reclamare sillabe di esistenza, la carità di un segno che le coaguli per sempre nel solco della sua necessità: prima di affidarsi all’unico abbraccio che le placa – come movenze di una danza carnale che dileguano nel buio, ritornano nel respiro che ha mosso la prima ora e l’ultima, la prima cadenza e la quiete.

Il verso che dimora nel varco tra due mondi”, è molto interessante il fatto che la tua poesia sembra nascere da una frattura nella realtà, la frattura tra il mondo fisico delle forme già presenti in questo mondo e una sorta di iperuranio dove stanno forme ancora da arrivare o già state ma che non hanno avuto le sillabe adatte a farle permanere nell’esistenza, “la poesia è l’attimo di una luce che riverbera sulla pagina il chiarore inudibile di una lacerazione”.
Anche in “Alluminio”, recensito e consigliato su larecherche.it la poesia sembra nascere nel dormiveglia, sul limite del mondo tra la veglia e il sogno/presagio; riporto dalla recensione:

“Nel mondo quantistico-poetico di Fresa escono particelle di senso dal nulla, così come nella fisica quantica del mondo reale, si possono materializzare particelle dal vuoto quantistico, che subito, se non trovano un supporto energetico per prendere forma di materia stabile, tornano nel nulla dal quale sono emerse; tale supporto energetico, nelle poesie di Fresa, risulta essere il mondo delle sensazioni e dei pensieri, l’emotività del poeta, la sua cocente riflessione affettiva: ‘Poi mi chiedevi un dono, un orologio per contare / le formiche degli assalti, le feste vinte / da un angelo leggero: / una ressa d’introvabili parole che invitava / all’ingegnoso salto nel buio. / Era un docile lamento che imbrogliava la vista / dei giganti: io ti guardavo / ansiosamente stringere la mano / dei penultimi confini. ’”

Potresti dirci qualcosa al riguardo? La poesia è come sangue che esce da una ferita, da una lacerazione nella realtà e nello spirito umano?

RISPOSTA.
La poesia è la ferita immedicabile dovuta alla separazione che contrappone l’essere all’Essere, il finito all’infinito. È un misto di gioia e di ansia che sempre invade lo spirito di chi varca quella soglia bifronte, in cui si avverte la vertiginosa vastità di uno spazio vuoto, che ci ricorda la dolorosa esperienza dell’esserci e la sua divisione dall’Uno.
Mi seduce e mi inquieta molto, questo approssimarsi ai limiti dell’ombra, ovvero quell’attimo in cui si avvera un’aurorale sospensione tra materia e invisibilità, tra immediatezza ed eternità.


DOMANDA.
Le tue poesie sembrano a tratti echeggiare un mondo fisico (non solo di forme) fatto di leggi ben precise e di comportamento indeterminato, talvolta fatuo, sembra che la tua parola poetica trovi sostegno, e nel contempo esprima le leggi fisiche di questo mondo. Che cosa pensi del rapporto tra poesia e scienza? Pensi che in qualche modo la lingua poetica possa essere investita anch’essa del ruolo che la matematica ha nella scienza, cioè possa interpretare la natura delle cose?


RISPOSTA.
Ogni forma di pensiero, diretta all’analisi e all’interrogazione degli eventi, è sempre fondata sulla scienza (ricordiamo che la parola viene da scire, conoscere). Trovo impressionanti e sconvolgenti alcune indagini propriamente scientifiche, soprattutto quelle ancora lontane dall’esattezza e dalla risoluzione. Ad esempio: che cos’è, o meglio che cosa nasconde la cosiddetta “materia oscura”, presente ovunque? È pensabile una totale assenza di spazio e di tempo prima dell’esplosione del Big Bang? È pensabile intendere l’universo come infinito? Tutte queste domande – non ce ne accorgiamo, forse – non sono poste non solo dai cosmologi o dagli scienziati in senso stretto. Esse sono state ripetute, e sono ripetute, in forma meno diretta, da pittori, scrittori, musicisti, psicanalisti. Nel mondo antico, soprattutto nel mondo greco, il pensatore era, contemporaneamente, poeta e filosofo, musico e matematico, astronomo e teologo.
È l’epoca moderna, a partire soprattutto dal positivismo, ad aver creato le divisioni e le specializzazioni. Questo è uno dei più gravi traumi del nostro mondo culturale: un sapere settorializzato, chiuso in se stesso, dunque più povero e limitato.


DOMANDA.
Come avviene per te il processo di scrittura? Scrivi di getto oppure rivedi i tuoi testi, sia nella forma che nei contenuti?

RISPOSTA.
Penso, rifletto. Ripeto continuamente suoni, parole, immagini, titoli, frasi. Trascrivo, riscrivo, cancello. Getto e poi smarrisco i foglietti dei quali sono sempre piene le mie tasche. Poi mi dispero nel non trovarli (escono fuori dopo mesi).
Quindi rielaboro ancora, cancello tutto di nuovo e riscrivo daccapo. Il tutto fino alla stampa. I correttori di bozze non hanno vita facile con me.


DOMANDA.
Come trovi l’editore adatto ai tuoi testi? Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel pubblicare una raccolta di poesie?

RISPOSTA.
Molti editori li ho incontrati per caso. Ad esempio, Alfonso Conte della Plectica lo conobbi in modo informale. Gli piacque molto il mio primo libro e decise di pubblicarlo, coprendo personalmente le spese di stampa. Un gesto generoso. Fu casuale anche l’incontro con Franco Alimena delle edizioni Orizzonti Meridionali, che conobbi a Cosenza: anche in quel caso, avendo vinto un Premio, organizzato dalla redazione della rivista “Capoverso”, la raccolta fu stampata a spese della casa editrice, in una prestigiosa collana che ha ospitato, tra gli altri, Mariella Bettarini, Luca Canali, Corrado Calabrò, Tiziano Salari, Carlo Cipparrone. La difficoltà non sta nel pubblicare o nello stampare un libro, ma, semmai, nel farlo leggere, girare, valutare.


DOMANDA.
Hai pubblicato tuoi testi su varie riviste di letteratura. Quale è secondo te il ruolo di tali riviste?

RISPOSTA.
Vista la poca distribuzione dei libri di poesia, soprattutto dei piccoli e medi editori, è quasi preferibile pubblicare testi su riviste (quelle, ovviamente, a diffusione nazionale). Il limite di molte di queste pubblicazioni, però, consiste nella loro eccessiva settorialità: è assurdo leggere una rivista che si occupi solo di poesia (o, in generale, di letteratura). L’ideale sarebbe poter leggere una rivista culturale in senso lato, capace di accogliere riflessioni e indagini su tutte le forme della conoscenza, dalla poesia al teatro, dalla pittura alla musica, etc.


DOMANDA.
Perché tanti lettori trovano difficile la poesia? Che cosa ne pensi? Quale è la responsabilità dei poeti, quale quella degli editori, quale quella dei lettori?

RISPOSTA.
Chi dice che sia negativo il fatto che la poesia è spesso “difficile”? Se partiamo dal presupposto che l’esistenza è, nella sua quasi totalità, piena di domande irrisolte, di lati oscuri e incomprensibili, di risoluzioni inaspettate o assurde, e se non ci convinciamo del fatto che la poesia non è un’evasione o un ornamento della vita, ma un potenziamento e uno specchio della stessa vita, allora non possiamo che trovarci di fronte a una scrittura che dev’essere per forza composita e complessa, in modo che sia capace di produrre continuamente, incessantemente, nuove domande. Lasciamo la (cosiddetta) poesia “facile” ai cantautori, autori di autentiche fesserie in versi, o ai gazzettieri della finta cultura, o ai luoghi comuni del linguaggio giornalistico-televisivo; lasciamo la scrittura ricompositiva e consolatoria ai giornaletti che si occupano dell’ovvio e del banale.

Quanto alle responsabilità:

1) I poeti dovrebbero smetterla di pensare soltanto al loro narcisismo e al loro solipsismo; dovrebbero imparare a comunicare e a dialogare, perché con il confronto si impara a vedere le cose non solo dal proprio limitato punto di vista. Ciò è difficile, soprattutto con i poeti (veri e finti) della mia generazione, che al massimo amano costituire piccoli gruppi (o meglio clan) sempre in guerra e in competizione. È stato molto più facile, per quanto mi riguarda, comunicare e scambiare opinioni con poeti come Cucchi, Salari, Parri, Bettarini, Santagostini, Majorino, Spagnuolo, Fontanella, Furia, Marotta, Cerrai, etc., che con i miei coetanei.

2) Gli editori dovrebbero finirla di comportarsi da salumieri, badando meno ai soldi e provvedendo a costruire un autentico discorso culturale. Qualche anno fa, proposi a un editore di media importanza, riconosciuto a livello nazionale, una mia raccolta. Al telefono mi disse (avendo a malapena letto il titolo): «Va bene, va bene, ma quanto è disposto a spendere per pubblicarlo?».


3) I lettori dovrebbero tornare ai libri davvero importanti e lasciare stare le attuali idiozie para-letterarie, come ad esempio i romanzacci da Liala raccomandati ai Premi e che l’anno successivo sono già belli e dimenticati. Devono scegliere in maniera autonoma, liberandosi delle nefaste mode correnti.


DOMANDA.
In tutta libertà e sincerità che cosa pensi di siti, quali larecherche.it, che danno la possibilità di pubblicare liberamente testi online ad autori altrimenti sconosciuti? C’è qualche cosa che vorresti dire agli autori/lettori che frequentano larecherche.it?

RISPOSTA.
La mia esperienza con i siti letterari è stata sempre molto positiva. Soprattutto perché sono nate amicizie, rapporti di collaborazione. Ho avuto modo di conoscere molti bravi critici e poeti contemporanei.
Naturalmente, apprezzo i siti che scelgano i testi da pubblicare dopo un attento e consapevole esame selettivo, dando spazio anche ai commenti dei lettori.
Vedo con piacere che larecherche.it percorre questa strada.


DOMANDA.
Hai qualcosa da aggiungere, qualche auto-domanda da porti?

RISPOSTA.
Adesso no.


Grazie.
Grazie di cuore a te e alla Redazione.


(Intervista a cura di Roberto Maggiani)

 Anna Guzzi - 28/06/2009 14:57:00 [ leggi altri commenti di Anna Guzzi » ]

Un’intervista dai contenuti molto seri e interessanti. Mi preme molto il discorso sulla separazione settoriale che sarebbe stata prodotta dalla modernità e sull’incapacità di molti editori di costruire un discorso culturale complesso. A tal proposito, è da poco terminato il convegno padovano della MOD (Società per lo studio della modernità letteraria) che ha avuto come oggetto proprio il problema del mercato letterario. Anche io, come giovane studiosa, ho dovuto affrontare un percorso non facile per la pubblicazione di una monografia scientifica, quindi capisco bene le parole di Mario Fresa sulla difficoltà di far circolare i testi poetici presso un pubblico abituato magari alla cattiva tv. Speriamo, come insegnanti, di riuscire a trasmettere ai nostri ragazzi l’amore per la lettura, anche se, talora, ciò comporta, almeno all’inizio, un po’ di fatica.

A presto

 Dalila Curiazi - 27/06/2009 21:13:00 [ leggi altri commenti di Dalila Curiazi » ]

Vi è una seria riflessione alla base di tale intervista, sia da parte di chi la propone sia da parte del Poeta. Ho apprezzato, in particolare, la scelta di aprire alla "lirica", in un’epoca in cui i poeti (quelli veri, non i montaliani "laureati" o gli accademici che compongono a tavolino, o per fare sensazione)sono sempre meno, perchè alieni dalla massificazioe e solitari rispetto alla generale omologazione; ma ho apprezzato ancora di più i contenuti dell’intervista, le parole pacate ma critiche (nella accezione etimologica della parola) di Mario Fresa. Auspico anch’io davvero la fine di una (pseudo) cultura parcellizzata, e di un linguaggio vero dei sentimenti. Grazie.

 giuliano - 27/06/2009 12:19:00 [ leggi altri commenti di giuliano » ]

davvero molto interessante!! Una persona/poeta a tutto tondo, che dimostra grande curiosità verso ogni aspetto del "sapere" e lo rielabora con grande bravura.

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