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al testo di Pietro Menditto
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La distanza da colmare tra insipienza e oggetto Si abbassano vanamente le palpebre sulle ore ruminate. Il torneo delle mai acconce parole non cessa di giostrare sulla mia testa. Risoluti avvoltoi saturano la galleria odorosa – profumata di buccheri che una stupefatta tomba rivela discinta dalla luce improvvisa e ora la morte è una polvere che il vento seduce, questo l’ingenuo che in braccio la conduce a varcare soglie che ci sono vietate per… Prima o poi sarà impossibile anche pensarti. La sostanza riempirà i cunicoli con la necessità illustrata che trapassa lenti e fronti spesse e appaga e paga e semina il lunedì la mèsse domenicale. Prima o poi sarò io a non dire più io, sarai tu a non dire più tu e santi in bilico sugli acri rebbi di concordi calendari sulla apocalisse ventura. Il sole sta tramando il giorno dietro le quinte di una notte irresoluta e prima, all’occidente, il ragazzo credette che un’ingenua fronte potesse stupire il tramonto. Lui che col sole cresceva e tramontava e di notte diventava la sua anima malinconica ai raggi deserti… Il ragazzo percorse quelle trincee baciando i cadaveri freddi di suo padre lambendo i piedi di quelli di sua madre assunta in cieli lumeggiati di biacca i cieli assorti nell’albagìa della separazione ammantati di un lutto sbiadito dalla perplessità un tempo vi covava il tempo le sue sorprese ermetiche il sapone spalmato sull’albero della cuccagna e la marmellata sulla fetta di pane |
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