cinque ballate e un attittu
Ecco un'altra pregevole plaquette della casa editrice Gazebo di Firenze. Si cimentano, in una scrittura a due mani decisamente riuscita – sia per incastro metrico e contenutistico che per la salvaguardia della personalissima poetica di ciascuno dei due autori –, due voci contemporanee che si allineano nelle fila di coloro che nella poesia non cercano cassa di risonanza per una qualche vanagloria, ma, semmai, per una riservata esigenza della propria personalità artistica e a completamento di essa, Maria Grazia Cabras e Loretto Mattonai.
Riporto, di Mattonai, un estratto da Lettera dal carcere dello Spielberg:
Scorgo radi uccelli passare
non vedo terra non vedo mare
qui la sedia che stanca
tra mura che serrano la vita
tra due catene attorte
E dalla finestra un filo di luce scampato a quel cielo che di continuo è di ronda
[…]
Della Cabras, un estratto da Libera:
Scorre come il fiume
corre Libera corre
scopre vie dimenticate
trecce i suoi capelli
le mani tese verso altre mani
altra carità
grida Libera grida
si leva sorella in volo
non teme croce né fuoco
[…]
Il testo è corredato da un CD musicale contenente musiche di Michele Fiumalbi e Giacomo Guerrieri costruite intorno ai testi dei due poeti.
Guerrieri è la voce e suona chitarra ritmica, flauto irlandese, cembalo; mentre Fiumalbi suona chitarra solista e bouzouki irlandese. Per entrambi la musica è una passione.
Abbiamo sottoposto tale lavoro musicale a Roberto Biagiotti, nostro consulente musicale, il quale con la consueta competenza, serietà e passione, così si esprime:
“Poesia e canzone, cugine, forse sorelle, a volte solamente lontane amiche…
Se la poesia è affine alla canzone per musicalità delle parole e ritmo sillabale – e per tali motivi, parallelamente al messaggio testuale, veicola anch’essa emozioni e vibrazioni estremamente soggettive – al tempo stesso è meno vincolata da pulsazioni di ritmo determinato ed è probabilmente totalmente libera, o quasi, dai recinti delle leggi dell’armonia sonora.
Per questa ragione, può essere un’operazione molto complessa adattare un testo che nasce “solo” poetico ad una musica vincolata da regole tonali e ritmiche.
In una canzone, secondo il mio punto di vista, l’obiettivo più difficile da raggiungere è mantenere il fuoco e la nitidezza di potenza, delicatezza, drammaticità, ironia o sarcasmo di un testo dispiegato nelle sue frasi, attraverso un sostegno sonoro mai banale, mai gratuito, mai piegato o mai prolungato un istante più del dovuto. Con ciò non voglio affermare che qualsiasi canzone raggiunga questo traguardo, semmai il contrario, solo alcune vi riescono, rare volte con perfezione.
Musicare una poesia passando per i sapori melodici dei modi Ionico, Misolidio o Minore Melodico, (ma in generale di qualsiasi modo) può significare confrontarsi/scontrarsi con le loro peculiarità ed i loro vincoli, affrontare salti ed intervalli obbligati, pagare dazi imposti da inesorabili cumuli di armoniche, percorrere cunicoli e condutture che portano a risoluzioni non sempre in sintonia con l’intento poetico, con il peso specifico delle parole nel loro contesto semantico.
Al tempo stesso il confronto avviene anche sul piano dell’immaginario musicale, legato alla collocazione storica, nota o meno, degli stessi modi usati, del periodo nei quali essi sono nati, si sono sviluppati ed affermati come culturalmente dominanti. Se poi insieme a tutto ciò consideriamo le timbriche di alcuni strumenti scelti, come il flauto irlandese, il bouzouki (versione irlandese) e la voce, così italicamente familiare, ecco che l’ascoltatore può essere avvolto in un arco sonoro-temporale che giganteggia tra il medioevo e De Andrè, dove il re (inteso come nota musicale) la fa da padrone.
A questo punto mi pongo la domanda: è questo un connubio ideale, tra parole in forma di poesia libera da metriche e rime e un universo sonoro così marcatamente denotato e delineato?”