Femminicidi e altre disgrazie. Ovvero, delitti senza soggetto.
Premessa
Difficile riflettere su ciò che per qualsiasi persona di buon senso assume con tutta evidenza le connotazioni di un delitto e che chi scrive non può considerare soltanto tale, dovendo, per propria definizione, avvicinarlo anche sotto l’aspetto della desolante assenza di senso psichico.
Fin dai primi frammenti di notizia, dalle ricostruzioni faticosamente accatastate, chi scrive non coglie altro che la voce della propria confusione. Vertigine priva di riferimento; presenza di un non senso che non spiega. E ha dovuto, allora, porsi di fronte a un senso impalpabile che sfugge la presa delle dita e della mente. Confrontarsi, dunque, con l’apparente assurdo e doverne tener conto per rintracciare un senso dentro il non-capire, perché fin dall’inizio non percepiva che l’asettica assenza di un soggetto.
Non rimarrebbe, dunque, altro che consegnare il fatto al suo silenzio, dove si è svolto ed estinto. Ma proprio questo è il punto e la necessità di ogni ricostruzione: dare un senso alla morte.
Ma neppure la morte. Il fatto essenzialmente non ha nome, perché la morte segue a chi ha vissuto. Ciò che sconcerta è quando non si nasce. E questo è il caso, negazione assoluta di esistenza che impedisce persino di morire.
Orizzontarsi senza un orizzonte: da qui il disagio.
Arcaismi
Stimolo-impulso-reazione: meccanismo di base in questo mondo. Formula organica di sopravvivenza cui non occorre discrezionalità. Inutilità, pertanto, della coscienza, apparsa in scena in tempi più avanzati e di cui spesso si può fare a meno.
Muoversi, alimentarsi, riprodursi: fatti. Senza intenzione, che non sia quella di mantenere schiere di organismi a discapito delle vittime di turno. Alternativamente e in equilibrio apparente. Ma questo lo diciamo noi: non sta nei fatti.
Scadimento al livello della predazione. Sarebbe già qualcosa, al di là della scarsità che vi è inscritta. Ma neppure così. Perché il delitto è un fatto dell’umano. Aberrazione come campo di ricerca, allora, se non fosse che anche questa è un’affermazione, mentre ciò che seguiamo è nell’assenza.
Senza relazione nel rapporto. Che la pulsione non ha sentimento. Cattura oggetti e scarica tensioni con l’aggressività che guida la libido. Perfettamente funzionale; ma a livelli diversi.
Inoltre, non c’è morte nel sesso: è un fatto della vita. Sopraffazione, spesso; spesso uso di un oggetto che non diventa “altro”. Morte no, se non nel senso psichico del buio in cui nuota l’istinto. Quello sarebbe il luogo da indagare; ma non basta. Perché l’istinto non getta in un dirupo i propri amanti; non distrugge le membra e i frammenti, né seppellisce sogni. Incubi, in verità, voci d’angoscia; dolore da nascondere alla vista, talmente intenso da suscitare furia. C’è qualcosa che coglie ciò che ha fatto; non vuol saperlo, ma nell’orrore c’era una un’espressione anche se solo di un bisogno cieco.
È il mondo dell’umano che soccombe nella frammentazione della psiche che annega. Deprivata della transizionalità dei propri oggetti (Winnicott), non accede al rapporto. Dunque non crea simboli, rappresentazioni interiori dell’oggetto da informare di sé nell’interscambio tra l’estraneo e il proprio che, rappresentando reciprocità di sensazioni, sentimenti, emozioni, convoglia e connota configurazioni prima inesistenti. Non accede, pertanto, alla cultura; non c’è immagine rappresentata; non c’è pensiero.
Nell’al-di-là: confusione indistinta. Violenza di vissuti inadeguati non trasformabili in rappresentazioni. Espressioni d’angoscia soffocante; solo sopraffazioni del non senso. Ingestibili e, certamente, impossibili da tollerare.
Ogni cultura crea un alfabeto; ma senza traduzione dal caos dell’indistinto alla gestione che codifica senso non c’è “alfabetizzazione” (Bion). Questo compito spetterebbe alla famiglia, alle istituzioni educative, allo Stato. Spetterebbe, se non fossero ormai anestetizzate. Detto di sfuggita, spetterebbe anche a quella meraviglia che chiamiano arte, se ancora ne esistesse una.
In tale mancanza, non si sviluppano quelle che definiamo funzioni dell’Io, attività d’ordine superiore capaci di riconoscere, gestire, comunicare e indirizzare verso un princiio di realtà che sia davvero tale, direzionalità che mette al mondo intenti e chiude il cerchio intorno ad uno scopo consapevolmente ricercato e attuato.
Riconoscere, si diceva, innanzi tutto l’altro. Entità diversa e soggettiva, e nel far ciò costruire i confini di sé stesso, a propria volta riconoscibile da solo e nel rapporto col diverso.
Ma tornando all’assenza, tutto rimane chiuso nella terra; che ribolle ed esplode perché non può gestire le tensioni. Pressione d’angoscia senza nome (Kohut) che non conosce senso e solo “spinge”: ad agire quel che non ha voce. Perché non sa il linguaggio dell’umano che nessuno ha insegnato.
La personalità narcisistica. Patologia.
Non mi dilungherò sulla personalità narcisistica e le sue patologie che spaziano dal narcisismo normale fino al livello border-line fino e psicotico dove può trasformarsi in vera e propria psicopatia. Chi desidererà approfondire potrà rivolgersi al DSM V o alle opere di Kohut e Kernberg che hanno trattato a fondo l’argomento. Personalmente, mi limiterò all’essenziale.
La patologia narcisistica è caratterizzata da un profondo senso di vuoto: il narcisista è vuoto si se stesso. Generalmente trattato dalla famiglia come un’estensione narcisistica die suoi membri – prevalentemente la madre, mentre il padre è stato per lo più assente o prevaricante - il bambino che svilupperà una personalità narcisistica è trattato come un elemento essenziale per realizzare tutto quel che i membri della famiglia hanno fallito nella loro vita. Considerato geniale e irrinunciabile, il bambino “sente” che qualcosa non va ma non osa esprimerlo per paura di perdere l’affetto. Nulla infatti il narcisista teme di più dell’abbandono. Egli percepisce pertanto un che di “falso”; teme che tutto ciò che gli viene attribuito non sia vero e sviluppa il vissuto di essere essenzialmente un bluff. Di questi suoi timori si vergogna. Immerso in una realtà che non è tale, il narcisista sviluppa un falso senso di se stesso. Il narcisista non è mai se stesso ma non osa domandarsi a chi appartenga la vita che (non) vive.
Di conseguenza non è in grado di sviluppare una sufficiente differenziazione io-tu; non sviluppa empatia, sfera del sentimento; in pratica non sa amare. Il suo bisogno è inverso: deve essere amato. A livello psicopatica l’assenza di sentimento è estrema: non prova vergogna, colpa, pentimento, qualunque delitto abbia commesso.
Dunque deve essere amato, ammirato, considerato al di sopra di qualunque altro. Non tollera confronti., ma non è relazione. Il narcisista sviluppa infatti, al posto della normale relazionalità una relazionalità oggetto-Sé. Cosa significa questoé Significa che l’altro è una sua estensione, una parte di sé essenziale della quale non può fare a meno. L’altro non esiste di per sé: è il narcisista stesso. Essenziale per la sua sopravvivenza, l’altro non può mancare; se accade, il narcisista prova angosce devastanti, fino ad arrivare alla frammentazione. Se accade, la sua rabbia è incontrollabile. L’oggetto sé che ha tradito deve essere cancellato. Non può più esistere, altrimenti continuerebbe a ricordare al narcisista un senso di abbandono e di negazione (di sé) insopportabile. Dunque, l’altro va cancellato e le sue spoglie devono sparire. Da qui le conseguenze più estreme e, ovviamente, senza senso di colpa o pentimento; siano ormai al livello psicopatico.
Uccidendo l’oggetto sé ormai inadeguato al ruolo e alla funzione attribuitagli dal narcisista, al fondo egli uccide anche se stesso. Non ha mai vissuto davvero a livello individuale e non può vivere senza l’oggetto sé cui ha demandato la propria sopravvivenza. Non è raro, infatti, che tragedie di questo tipo sfocino in un omicidio-suicidio. In realtà, a questi livelli la morte neppure esiste perché non si è mai nati soggettivamente nella psiche.
Per quale ragione poi molte donne si lasciano emotivamente irretire da uomini narcisisticamente compromessi a livello psicopatico è tema che meriterebbe approfondimento ma non lo farò. Nell’epoca in cui viviamo (o ci sembra di farlo) non sarebbe psicologicamente “adeguato”. Basta dire che esistono molte “difese” psichiche che proteggono da angosce altrimenti insopportabili e che portano a “sperare che le cose cambino” piuttosto che affrontare la realtà, ed esiste una “fragilità” definita “masochismo morale”.
A proposito, lo sapevate che molti leader attuali sono indiscutibilmente psicopatici? Ma questa è un’altra storia.
Il mondo sasso
Al di là dell’evento, la violenza e la morte non sono fatti isolati, perché la morte non è solo morire. In situazioni apparentemente culturali, nella “normalità” del mondo, dove gli aerei viaggiano lo spazio e i numeri danno forma ad una “rete” che sconvolge ogni senso del reale, le funzioni dell’Io restano sopraffatte. L’antico sogno freudiano si è definitivamente eclissato nel tramonto non dell’Edipo ma del Super-io - (ricordo che un Super-io sano è la base della morale individuale) - e nel fallimento delle funzioni egoiche incapaci di contenere e direzionare impulsi arcaici ormai debordanti.
Rafforzato dai “mezzi” della coscienza egoica che ha invaso, l'inconscio usurfuisce di strumenti "culturali" a dismisura che persino giustificano, razionalizzando, ciò che senso non ha (morale collettiva che giustifica perfino lo sterminio) nell’espressione di desolanti mancanze umane e nella rinuncia al “fare anima” (Hilmann) del mondo. Satana blandisce, e non è facile dire sempre no. Ma non c’è alcun demonio che non si chiami assenza di coscienza. Moneta svalutata, quest’ultima, priva di un prezzo valido di scambio. Il mercato globale conosce solo “cose” e di queste commercia. Tutto ha valore purché nell’immediato e dall’alba al tramonto cambia prezzo, codificando l’instabilità che annulla il tempo. Morte per fame, un tempo, si dirà. Oggi, schiere di debolezza vendono sul mercato l’abbandono. Tutti hanno un corpo che per molti è merce: basta pagare e si mantiene in vita. Il corpo. Che si trascina e perpetua lo scambio delle cose che radica un senso di abbandono fonte della mancanza a essere che domina il nostro tempo. “Il discorso del capitalista” tenuto a Milano da Lacan, ormai molti anni fa, è come se non fosse mai stato pronunciato. Neppure la parola di Cristo.
Il corpo/cosa: chi lo compra e chi vende. Turismo sessuale organizzato, import-export di organi e piacere; clandestinità di rapporti senza volto; prostituzione di pupazzi vivi dentro il ruolo di oggetti per chi non ha percorso lo sviluppo e imbriglia in corpi adulti stadi infantili senza separazione dal non sé (Mahler). Senza riflesso: gli occhi della merce, dentro uno sguardo che non può rispecchiare (Kohut).
Un mondo sasso quello che abitiamo, privo di senso e storia. Un mondo che non ha più volizione, speranza, voglia di vivere, anche nella miseria, di cui è incapace di apprezzare la bellezza. Un mondo senza mondo, senza volto d’umano. Un'epoca si chiude sempre con il caos.
Nota dell’autore. C’era un uomo di cui, pur non essendo cattolico, ho ascoltato le parole. A presto Francesco!
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