Un famoso aneddoto risalente alla Prima Guerra Mondiale racconta di un canto, intonato da un coro di soldati catanesi, che fece fermare le ostilità durante una battaglia: gli austriaci, rapiti dalla sublime melodia che si levava dalla trincea nemica, smisero per qualche attimo di sparare per poterla ascoltare. Quel canto era E vui durmiti ancora, entrato ormai a buon diritto nella tradizione e nel folklore siciliano.
A tal punto che la fama del suo autore, il catanese Giovanni Formisano (1878-1962), ne è stata spesso adombrata. Ma da qualche tempo la sua personalità e la sua opera sono oggetto di riconsiderazione, soprattutto da parte della sua città, Catania: alcuni anni fa gli sono stati dedicati una via cittadina ed un monumento in piazza Maiorana.
Poeta e commediografo, Formisano fu attento osservatore della realtà: ma un osservatore che non ha bisogno di rivestire la quotidianità, anche nei suoi aspetti più tristi, di note false ed edulcorate. Egli trova il buono in ogni cosa, anche nella morte, nella malinconia, nella povertà. Questo perché la sua poetica è espressione stessa del suo modo di vedere e di vivere le cose.
L’animo dell'autore catanese è semplice e delicato; ed è velato di una sottile malinconia che si stempera in una vena di ironia agrodolce. Il suo dialetto raggiunge vette di lirismo inusitate ma senza sconfinare in un manierismo stucchevole e artificioso: questo perché dal parlato trae efficacia ed autenticità, ma ne elimina gli aspetti più bruschi e stridenti. Tutto ciò senza infiorettature e senza esagerazioni: la voce di Formisano è la voce del cuore, di un cuore semplice e buono che coglieva la poesia in tutto quello che vedeva, ed era un poesia malinconica, appassionata e struggente, capace ancor oggi di sorprendere il suo lettore:
Un tristi jornu ti ‘nni jsti tu
lu suli torna e tu non torni cchiù!
La lontananza della donna amata, la nostalgia della giovinezza passata, il rimpianto delle persone care perdute per sempre: motivi ricorrenti, cantati con serena disillusione. A volte, come in Siti cuntenti ora? o in Ma no davanti a mia!, vibra l’appassionato sdegno dell’amato respinto, ma sempre il tono del rimprovero è sfumato, e ancora quella malinconica rassegnazione dice tutta una concezione della vita: le cose belle esistono per essere vagheggiate e rimpiante, perché quasi sempre sfuggono per non tornare più.
E così l’amore è attesa, l’attesa di un brevissimo istante:
passu ccà fora tutti li nuttati
e aspettu puru quannu v’affacciati.
E dopo l’attesa, lunga ed intensissima, il sogno arriva, e sfugge via. Restano la solitudine, lo struggimento, e infine la poesia.
Donatella Pezzino
Bibliografia:
Giovanni Formisano, Campani di la Virmaria. Versi siciliani con relazione di Luigi Pirandello, a cura di Francesca Romana Puglisi e Sergio Sciacca, Edizioni Greco, 2004.
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