Pubblicato il 02/11/2008 12:29:50
Chi ti ha voluta Elissa, chi ti ha chiamata Didone. Anche tu, Regina, non sei scampata al destino delle tue sorelle: o santa o puttana! Ed allora, eccoti: da una parte fatta dea, assunta al Phanteon, perché ti desti la morte pur di non rinnegare il voto di castità fatto sul corpo del tuo consorte ucciso e, dall’altra, correre impazzita e lubrica come una baccante, perché abbandonata dal tuo amante Enea. Da donna a donna, credo che potrebbe essere credibile il fatto che tu non fosti né l’una, né l’altra cosa. E, forse, che dotti e storici mi perdonino, neanche sei stata una suicida. Probabilmente ti ammazzarono perché da donna volevi comandare su un popolo di uomini o forse, t’hanno bruciata sulla pira del tuo sposo perché, come usava, il potente lasciava questa terra portandosi dietro tutte le sue cose: la sua armatura, il suo scettro, i suoi schiavi, i suoi cani e la sua donna. Ma ritornando ai fatti, così come ci vengono narrati, ebbene io preferisco immaginarti scarmigliata e accesa dalla lussuria, disperata al pensiero di ritornare alle tue notti caste, al tuo talamo vuoto. Preferisco pensarti non algida ma spaventosamente bella e torva di passione, incapace d’accettare la volontà di un uomo che, appellandosi ad un improbabile Fato, abbandonava te che gli avevi donato la tua regalità, gli avevi offerto te stessa ed il tuo regno. Come tutte le donne ti eri fatta porto per il naufrago, terra per l’esule e carne per il negletto per scoprire che ben altro guida il cuore di un uomo e che questi incommensurabili doni sono ben poca cosa per chi guarda altrove. Allora, benvenuta Didone, lascia che io ti abbracci e ti culli e ti accarezzi i capelli. Ancora oggi, il fumo che sale dal rogo che avvolge le tue membra sia segno di maledizione per chi disprezza l’amore.
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