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Inoltramenti

Poesia

Alessandro Ramberti
Edizioni L’Arca Felice

Recensione di Roberto Maggiani
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Pubblicato il 15/12/2009 21:23:00

Un librino che accoglie sette poesie, così come la Menorah (candelabro a sette braccia della religione ebraica) accoglie sette lumi accesi, uno al giorno fino ad arrivare allo shabbat, giorno del riposo. La plaquette inizia con il primo lume poetico intitolato “La grammatica sprofonda”, esso illumina e rende evidente lo spazio in cui avvengono le riflessioni poetiche di Ramberti, vi si legge: “[…] il taglio verticale del deserto /disegna la tua anima /quello che dici / sono capsule di un codice / in evoluzione.”. Lo spazio di riflessione appare, fin dalle prime battute, cultuale, sacro, è lo spazio dell’anima. Nella poesia intitolata “In gioco” si legge: “[…] / nei monasteri – soli – allunano i sofismi / e le preghiere sono doni / già nel momento che precede.”
In “Genesi” viene in evidenza un poeta visibilmente investito dalla forza di una sorta di visionarietà poetica e religiosa. Attraverso parche metafore l’autore conduce, tra i propri versi, il gioco della meditazione, spingendolo a fondo fin nello spazio spirituale del lettore, il quale deve, in qualche modo, porsi domande insieme al poeta: “Ricordi i momenti / in cui hai iniziato ad essere […] ? […]”. Talvolta il dettato poetico si fa quasi surrealista ed enigmatico. Ramberti si muove verso una zona dell’universo umano in cui ci si trova spersi, fino al limite in cui visione e parola si dividono, il parlare diventa “bofonchiare” suoni incerti, la parola del comune pensare, in situazioni estreme, non può che essere farfuglio, perde di vista il nesso logico del suo dire. E’ forse proprio questa la missione del poeta: inoltrarsi (si veda il titolo “Inoltramenti”), per necessità di ricerca, in percorsi semantici alternativi nel tentativo di esprimere parti dell’esistenza situate sul bordo del reale inconscio umano e collettivo – per poi magari scoprire che il significato delle cose è invece altrove e ogni parola è fasulla: “Qui / fra paura e aspirazioni / bofonchiamo suoni incerti / moduliamo un la / che è appunto altrove. // Il pensiero sta / sospeso nell’enigma: / […]”..

In un libro della Bibbia, il Deuteronomio, è scritto: “Ascolta, o Israele, Jahvé è il nostro Dio! Jahvé è Uno [Echàd]”; ed “Echàd” è il titolo di una delle sette poesie della plaquette, è dedicata al padre e tratta il tema del dolore e della morte, la quale può essere lenita, per la sua nota di assurdità e angoscia, nell’affidarsi completamente “[…] / al viso infuocato / al tuono sospirato come un alito / […] / e spero oltre misura / ma ragionevolmente / perché noi siamo / la cifra del tesoro / di cui ci fai custodi nel cammino / ardente di sconfitte che redimi. / […]”.
Con i due testi “Economia biologica” e “Urna viva”, il poeta stende le sue meditazioni sul rapporto tra il corpo e l’anima. Infine, nella poesia che chiude la raccolta, intitolata “Monte Baldo”, lascia intravedere all’orizzonte, dopo il faticoso viaggio – oso dire – nella fede, un porto di approdo: “[…] rossi gli occhi / ondeggiano in perlustrazione / sussurrano un porto: / poche lettere che non si usurano […]”. Una scommessa lasciata aperta è quella di portarvi intera l’anima, che a volte rimane impigliata "[...] in questioni pratiche / […] fuori pista…”.
La copia numerata che ci è stata donata è la 105/199, ed è accompagnata, fuori testo, da un bel pensiero visivo di Francesco Ramberti, realizzato in inchiostro su carta.

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