Pubblicato il 13/11/2016 19:26:05
Donald Trump sarà il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, vale a dire, sino ad oggi, della nazione leader mondiale in campo militare, economico, finanziario, industriale ma anche in quello della difesa dei diritti dei più deboli e delle minoranze e all’avanguardia nella ricerca scientifica. In pratica la nazione faro della comunità civile dei Paesi più avanzati al mondo. Donald Trump è stato eletto dagli elettori di quella nazione, in barba a quasi tutti i sondaggisti, gli opinion leader, i tycoon televisivi e l’establishment culturale che tifavano Hillary Clinton. Un commentatore televisivo americano, questa mattina, ha detto che si è reso conto, dopo questo voto, di non conoscere più il Paese in cui vive. Può essere. Questo dipende però dalla sua sensibilità politica. Resta un fatto: che il nostro mondo occidentale in questi ultimi 16 anni è profondamente cambiato e l’elezione di Trump negli USA, come la scelta della Brexit nel Regno Unito, l’affermazione di Orbán in Ungheria, dei partiti xenofobi in Austria e della estrema destra in Francia sono solo alcuni dei segnali di questo cambiamento. Le cause di questa mutazione genetica del pensiero dell’uomo occidentale contemporaneo, che vive in comunità mediamente più ricche rispetto ad altre zone del mondo, a nostro giudizio sono da ricercarsi in primo luogo nella globalizzazione. Essa è intervenuta con velocità esponenziale in moltissimi ambiti della vita umana nello stesso periodo di tempo. Ciò ha disorientato intere classi sociali in ogni Paese dell’Occidente, o meglio, le ha spaventate. E quando una persona ha paura, per prima cosa pensa a difendersi da quello che considera il nemico, il diverso da sé, che può essere l’uomo di colore, il rifugiato, l’islamico e via così. Si è globalizzata l’economia, e quindi il lavoro. Si sono globalizzati i mercati e quindi la finanza. Si sono globalizzate le fonti d’informazione e i social media hanno dato il colpo definitivo: oggi chiunque può twittare 140 caratteri di stupidaggini ed essere letto da milioni di persone. Questa è la realtà che stiamo vivendo. Oggi le aziende globalizzate, le multinazionali, perseguono budget e rendiconti trimestrali per cercare di soddisfare i propri investitori che ogni tre mesi decidono se mantenere masse enormi di denaro, frutto della globalizzazione dei mezzi di produzione, investiti in questa o quella azienda. Se per caso l’utile aziendale di un trimestre è inferiore alle previsioni stimate dagli analisti finanziari, allora il valore in borsa del titolo scende e se nei 2 trimestri successivi non si verifica un’inversione di tendenza, si inizia a parlare di crisi. Capite: stiamo parlando di 6 o 9 mesi di vita di un’azienda. Cosa rappresentano 9 mesi se paragonati alla durata della vita media di un dipendente o di un cliente di quella società? Quando l’unica cosa che conta è l’oggi e non il domani, quando importa solo quello che si riesce a produrre qui, adesso, perché domani si potrebbe produrlo lontano da qui e ad un costo inferiore, allora l’unica reazione possibile per l’essere umano è quella di usare l’istinto. Si vota di pancia, per colui che sembra darti ascolto. La ragione per essere messa in moto ha bisogno di più tempo, di una pausa di riflessione, di analisi dei fattori in gioco. È proprio questo tempo che ci è stato tolto, ci è stato rubato. Inoltre ci si deve rendere conto che il tempo concesso per la produzione del profitto, 3 – 6 o 9 mesi, ormai non coincide più con il tempo dell’orologio biologico del pianeta sul quale viviamo, che tra l’altro è globalizzato per definizione, da sempre, e in un modo migliore del nostro. La nostra globalizzazione, quella imposta alla Terra dagli uomini in questi ultimi 15/20 anni, viaggia a ritmi stressanti per soddisfare la fame di profitti delle multinazionali che si sono create proprio a seguito di questo processo. E per sostenere questo ritmo frenetico, le risorse del pianeta purtroppo sono a rischio. Anche perché la favoletta che il mercato si auto regolamenta e si pone dei limiti interni non è più credibile. Chi con la globalizzazione è cresciuto, desidera espandersi sempre di più a scapito del più piccolo e meno globalizzato. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti nei diversi settori economici, dalla chimica alla farmaceutica, dall’informatica alle telecomunicazioni. Siamo partiti da Trump per arrivare sin qui. Che ruolo giocheranno Trump e l’America in tutto questo? Nessuno al momento lo può sapere. C’è solo da augurarsi che il popolo americano abbia fatto la scelta giusta, e al di là del folclore del soggetto scelto come Presidente, abbia intravisto la possibilità per Trump di essere un Presidente “conservatore” nel senso di porre una decelerazione alla globalizzazione per fermarsi a riflettere dove l’Occidente sta dirigendo la prua. E per l’Italia, che conseguenze avrà l’elezione di Trump? Nel breve periodo è la partita referendaria per la modifica della Costituzione quella che può essere maggiormente toccata dall’esito del voto. Obama aveva apertamente appoggiato il SI al quesito referendario italiano, sostenendo di fatto la riforma e il Governo. Se vincesse il NO, è chiaro che anche in Italia si aprirebbe un periodo di incertezza politica per non dire di crisi di Governo vera e propria. Ora con un’Europa alle prese con la Brexit e con tutti i problemi relativi all’integrazione religiosa e all’immigrazione dai Paesi del Mediterraneo in guerra, con le elezioni politiche in Germania l’anno prossimo, con le spinte antagoniste in diversi Paesi (Ungheria e Austria in primis), l’apertura di un nuovo fronte italiano di crisi provocherebbe un’ulteriore nube tossica sui cieli europei dall’esito tutto da scrivere. Occorrerà tenere presente anche questo fattore quando si andrà a votare per il referendum il 4 dicembre.
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