:: Pagina iniziale | Autenticati | Registrati | Tutti gli autori | Biografie | Ricerca | Altri siti ::  :: Chi siamo | Contatti ::
:: Poesia | Aforismi | Prosa/Narrativa | Pensieri | Articoli | Saggi | Eventi | Autori proposti | 4 mani  ::
:: Poesia della settimana | Recensioni | Interviste | Libri liberi [eBook] | I libri vagabondi [book crossing] ::  :: Commenti dei lettori ::
 

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Sei nella sezione Recensioni
gli ultimi 15 titoli pubblicati in questa sezione
Pagina aperta 564 volte, esclusa la tua visita
Ultima visita il Fri May 2 17:57:00 UTC+0200 2025
Moderatore »
se ti autentichi puoi inserire un segnalibro in questa pagina

Urbana

Romanzo

Vincenza Salvatore
Bertoni editore

Recensione di Francesco De Girolamo
[ biografia | pagina personale | scrivi all'autore ]


[ Raccogli tutte le recensioni scritte dall'autore in una sola pagina ]

« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »




Pubblicato il 03/03/2025 21:03:00

 

Urbana è un romanzo durissimo e atrocemente lineare, che segue senza vacui pietismi il percorso di due anime segnate dalla vita a tal punto da non potere nemmeno sperare di sfuggire al proprio destino di sofferenza e distruzione, intimamente collegato, ma di diversa natura.

Il primo, quello della donna il cui emblematico nome dà il titolo al romanzo, inizia da un’infanzia, in parte raccontata, in parte facilmente intuibile per i tratti che l’Autrice ci fornisce senza entrare in dettagli, di precocissima violenza e degrado, di tossicodipendenza, prostituzione e conseguente malattia, cui nessuno, assolutamente nessuno, non una famiglia, non un’istituzione ipoteticamente preposta a tutelare una simile realtà, tenterà nemmeno lontanamente di dare un sostegno, di progettare un possibile rimedio di recupero.

Il secondo, quello di un uomo, di cui l’Autrice ci rivela solo gli elementi essenziali della vicenda umana, che assume il ruolo di voce narrante, in quanto a Urbana legato da comuni ferite che, fin dall’infanzia, si sono rispecchiate nella figura della donna; e che l’hanno portato a nutrire per lei un amore folle, assoluto, incondizionato, che ingloba nella sconfinata identificazione e dedizione anche quelle stesse ferite, quegli stessi oltraggi della realtà del vissuto, trasformandoli in ulteriori, incontrastabili impulsi a fare di Urbana una sorta di alter ego idealizzato, unico scopo di vita, di passione, di desiderio di ricerca, di possibilità di non restare prigioniero di una solitudine abissale e senza via d’uscita.

Di Urbana noi seguiamo l’inizio e il perpetrarsi di un calvario sempre più straziante, che passa per un abbrutimento umano sempre più crudele, l’abominio della prostituzione più degradata, la tossicodipendenza più devastante, vissuta in una sordida condizione di abbandono, in strada, in tuguri sudici e cupi che diventano lo sfondo di un’esistenza sempre più estrema, costellata di pericoli, violenze, sofferenze continue immedicabili, che disegnano un percorso di “non-vita” comune a tante esistenze di cui siamo inerti spettatori, che finiscono col non potersi, nel tempo, permettere più nemmeno un minimo tratto di amor proprio, di speranza, di richiesta concreta di una possibilità di consapevole solidarietà umana.

Sullo sfondo, la realtà sociale delle persone cosiddette “normali”, non sembra in alcun modo entrare in contatto con una condizione tanto marginale e clandestina, di un caso umano anche clinico, sociale, tanto scomodo da essere persino eluso, e rifiutato proprio da quelle istituzioni sociali preposte ad un possibile recupero di queste tragiche esistenze, condannando, persino come una colpa, quel senso di estraneità, con tutte le sue conseguenze di malessere e devianza che, in origine, proprio un tessuto sociale privo di ogni requisito di solidarietà, di possibile motivazione all’incontro, alla reale compenetrazione con queste problematiche tanto diffuse e distruttive, ha generato, in massima parte, esse stesso.

Gli unici momenti di umanità che il romanzo ci fa conoscere di questa esistenza così priva di luce e speranza, sono una giocosità infantile condivisa tra Urbana e il suo tanto partecipe interlocutore, alla continua e vana ricerca di un effettivo rapporto con lei.

 

Rimangono ben impressi, nella sensibilità del lettore, “le ditine strette” in un tentato, minimo legame infantile; e una frase di estrema dolcezza, quasi impensabile in un simile contesto, in cui Urbana si rivolge al suo amico con l’espressione: “Di’ tutto a bimba tua!”

Tanto è più atroce la realtà in cui si sviluppa la vicenda di Urbana, tanto più ci commuovono questi rari momenti di conquistata tenerezza.

Ma la vicenda umana di Urbana, sviluppatasi in un quartiere tragico e fiero, San Lorenzo, nella sua tipicità quasi separata dal resto della città, al punto da essere dal personaggio della voce narrante quasi identificato con lei, nel bene e nel male, dovrà nuovamente passare attraverso una perdita di contatti, che produrrà una ricerca disperata e affannosa da parte del suo fedelissimo amico, a lungo ignaro della sua sorte.

Per poi concludersi con l’inevitabile notizia della sua morte, che lascerà il protagonista-voce narrante solo con le sue angosce e i suoi rimpianti, ormai non più mitigabili da nessuna perseguibile ricerca di speranza di una sognata, comune salvezza da questo, più volte prefigurato, tragico epilogo.

L’Autrice ci racconta questa storia, dai connotati tanto comuni, ma di una peculiarità poetica tanto inconsueta, con una limpidezza, una capacità di far entrare il lettore in questa dimensione di sofferenza, sconfitta, speranze infrante, violenza atroce, fisica e morale, descritta senza alcuna remora ad affrontare anche i particolari più disturbanti, la fisicità devastata, martoriata, le piaghe, le ferite purulente, il sangue sparso in luridi anfratti di questo scenario, tutti elementi tristemente “canonici” della realtà della protagonista: le strade mal frequentate, il “Binario undici” e i luoghi più tipici della prostituzione e dello spaccio di droga, E glissa, invece, sugli anni del carcere, che preludono al finale; proprio gli anni di quell’esperienza carceraria dalla quale l’esile, barcollante Urbana esce apparentemente “guarita”, ma in realtà totalmente snaturata nella sua fisicità, che per la prima volta appare al protagonista irrobustita, presumibilmente  per il cibo ricevuto proprio nella struttura carceraria per tre anni; ma privata della sua autenticità, della sua memoria persino, quasi irriconoscibile, ricondotta ad un’esteriore normalità, che non ha però minimamente sanato o mitigato la sua spinta forse “vocazionale” all’autodistruzione, seppur per una “vocazione” indotta dalla sua terribile storia, per tutto l’arco della sua vita.

E questa emblematica immagine della sua trasformazione esteriore, come effetto di una metaforica “lobotomizzazione”, che precede il suo epilogo, diventa il suggello della sconfitta sociale anche del suo ultimo approdo, quello carcerario, capace solo di toglierle la sua peculiare essenza di donna fragile e insospettabilmente ancora caratterizzata da una sua ruvida dolcezza, trasformata in un essere esteriormente ringiovanito, ma in realtà svuotato di ogni sua residua unicità e inafferrabile, sommersa bellezza.

 


« indietro | stampa | invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi | Commenta » | commenta con il testo a fronte »