Pubblicato il 31/07/2014 00:29:15
E' sempre impegnativo raccontare la politica estera di una nazione. Quando poi il Paese di cui vogliamo parlare sono gli Stati Uniti d’America, l’analisi si complica ancora di più. Proviamo comunque ad esporre alcune riflessioni.
La politica estera degli Stati Uniti, prima potenza militare mondiale, sotto la presidenza Obama, è mutata. Si è abbandonato l'interventismo militare diretto, proprio delle presidenze di Reagan prima e poi di Bush padre e Bush figlio e di Clinton per teorizzare un mondo che finalmente potesse fare a meno dell'intervento militare americano per auto governarsi pacificamente.
Il risultato? E’ un bene questo ritorno americano all’analisi del proprio ombelico? Guardiamoci intorno.
Le tanto osannate primavere arabe che dovevano segnare l’avvio di un nuovo rinascimento dei popoli arabi hanno visto, con l'appoggio "esterno" degli USA, la caduta dei vecchi "dittatori" e la contemporanea rinascita di guerre tribali tra opposte fazioni etniche religiose, armate per abbattere il vecchio potere ed ora intente a sopraffarsi le une sulle altre.
Nei Paesi devastati da decenni di guerra, Iraq e Afghanistan, la situazione se vogliamo è ancora più tragica. Dopo la deposizione di Saddam Hussein, l'Iraq è stato formalmente normalizzato dall'intervento delle forze di pace, guidate dagli USA. Peccato che ancora oggi, ogni settimana a Baghdad esplodano autobombe che provocano decine di morti e le diverse componenti etnico religiose presenti, sunniti, sciiti e curdi sono in continua lotta tra di loro per la gestione del potere e non si sia riusciti ancora a contribuire alla formazione di un Governo di unità nazionale che affronti la ricostruzione del Paese. Inoltre, è cosa delle ultime settimane, i movimenti ultra estremisti islamici dell'Isis, attivi in Siria contro il regime di Assad, hanno conquistato parte dell'Iraq settentrionale e della Siria, proclamando la rinascita del Califfato islamico abolito nel 1924 nell'ambito delle riforme promosse dal leader turco Mustafa Kemal.
In Afghanistan la situazione è altrettanto grave. Dopo l'invasione sovietica della fine degli anni 70, durata dieci anni e terminata nel 1989 con la vittoria dei Mujaheddin sostenuti dagli Stati Uniti, il Paese è precipitato in una guerra civile religiosa che nel 1996 ha visto prevalere la fazione dei Talebani. Costoro applicarono al Paese una versione estrema della shari'a e ogni deviazione dalla loro legge venne punita con estrema ferocia. Molti ricorderanno la cattura dell'ultimo presidente della repubblica democratica afgana Mohammad Najibullah; venne preso dal palazzo delle Nazioni Unite di Kabul, dove era rifugiato, e venne torturato, mutilato e trascinato per le strade con una jeep prima di essere giustiziato con un colpo alla testa. Altro episodio che ha fatto clamore è stata la distruzione dei Buddha di Bamiyan nel 2001. Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 gli Stati Uniti e le forze della coalizione da loro guidata invasero l'Afghanistan e sconfissero i talebani nel novembre dello stesso anno. Dopo 13 anni di controllo politico militare dell'Afghanistan la situazione interna è tutt'altro che risolta e vaste zone di territorio sono sotto lo stretto controllo dei fanatici religiosi talebani. Ora, con la situazione sopra descritta, Obama già nel corso di quest’anno e poi nel 2015 ritirerà le sue truppe dal Paese e nel 2016 dovrebbero restare solamente 1000 uomini dell'esercito statunitense in appoggio alle forze regolari afghane. Cosa succederà nel Paese asiatico dopo la ritirata dei militari della coalizione è facile immaginarlo, visto quello che è successo in Iraq dopo il ritiro dell’esercito USA nel 2011.
E’ evidente a tutti ormai che fu un errore invadere quindici anni fa questi due Paesi come è stato un errore abbandonare l’Iraq al suo destino (e domani abbandonare l’Afghanistan) senza averlo dotato di una robusta struttura democratica che fosse in grado di governare pacificamente la nazione. La democrazia non si impone con la forza militare, semmai la si esporta negli anni attraverso gli scambi culturali tra persone di fede ed educazione diverse che si conoscono, si stimano e imparano reciprocamente il modo migliore di vivere sulla terra.
E veniamo all’ultimo errore che, a nostro giudizio, stanno commettendo gli USA nell’approccio alla crisi dell’Ucraina. Non è con le sanzioni commerciali e con la minaccia di ritorsioni che si deve trattare con la Russia di Putin su come risolvere la crisi in atto che, ricordiamolo, coinvolge pesantemente gli interessi dell’Unione europea.
Che i territori dell’est del Paese siano storicamente più legati alla nazione russa a differenza di quelli dell’ovest, più europeizzati, è cosa nota. Basterebbe prendere un manuale e leggere la storia dell’Europa centrale degli ultimi mille anni. Ora non si capisce perché non si possa dare la parola al popolo ucraino e indire un referendum per decidere liberamente da quale Governo vuole essere amministrato? Dopodiché se le province dell’est vogliono essere governate dalla Russia di Putin, si troverà il modo di ricompensare l’Ucraina per la perdita di quei territori e a questo punto la situazione tornerà assolutamente pacifica. Fanta politica? Non ci sembra. Certo che se l’Europa continuerà a brillare per la sua assenza dagli scenari internazionali e lascerà agli Stati Uniti gestire, in casa propria, questo tipo di situazioni, non prevediamo un finale entusiasmante per la crisi ucraina.
Non dimentichiamo poi che se si prosegue sulla scia delle ritorsioni e contro ritorsioni, il tempo che passa gioca a favore di Putin. Con l’arrivo dell’inverno il Capo del Cremlino avrà in mano un’arma di ricatto potentissima: bloccare il flusso di gas verso l’Europa. Ora con la situazione poco tranquilla (per usare un eufemismo) in Libia e con la Russia che chiude i rubinetti del gas, come passerà la nostra cara Italia il prossimo inverno? Certo, i francesi, gli inglesi, i tedeschi hanno le centrali nucleari, noi però quelle che stavamo costruendo le abbiamo bloccate ed ora sono ferme in attesa di essere smontate, come la Concordia che aspetta a Genova di essere fatta a pezzi. Certo, gli Stati Uniti sono lontani migliaia di miglia dall’Ucraina e poi sono diventati da poco auto sufficienti dal punto di vista energetico. Una bella cosa, per loro. Noi italiani invece, per scaldarci, dipendiamo dai Paesi arabi e dalla Russia…quindi potremmo affermare che il nostro prossimo futuro lo prevediamo molto caldo…
Riuscirà l’Europa in questo caso a suonare una musica differente da quella proposta dagli USA e ad evitare di esasperare sempre di più una situazione già al limite? Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane vedremo se il premier Renzi e il ministro Mogherini sapranno rappresentare agli alleati una via d’uscita dalla crisi ucraina diversa da quella che si sta intravedendo, decisa e condotta dagli Stati Uniti.
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