Esordio poetico questo della quarantenne fiorentina Francesca Anselmi per la cura della Gazebo di Mariella Bettarini, da sempre preziosa officina di vita e scrittura. Ed è una prima opera come da titolo all'insegna del dialogo col tempo entro un verso che cerca di ricucire nelle maglie di una memoria ora distante ora più vicina il presente di una coscienza e di un dolore non disperso ma riportato al credo del suo vivere. C'è un'ansia infatti, uno scollamento che cerca ascolto a cui la parola presta servizio nella registrazione di un sé divaricato, tragicamente diviso ma anche in qualche modo, per questo, teneramente carezzato, cullato a tratti in quelle parti che non convergono tra l'io e sua incompiuta ma desiderata possibilità. Così è anche un percorso di consapevolezza quello che la mano nel suo scorrere "libera/su carta bianca" testimonia partendo dalla registrazione del corpo nei segnali del respiro, metro di un mutare e transmutare dentro un enigma cui solo l'accompagnare è dato. Umile spettatrice di un insegnamento che viene dalla virtù dell'abbandono, dal sapersi spingere in avanti ("come sappiamo,/come possiamo") la Anselmi procede così nella sospensione di piccoli segnali, di piccole aperture nel tentativo di confidenza di un disagio che affidato alla sua scansione possa in qualche modo sciogliere o almeno lenire l'inconciliabilità del proprio difficile equilibrio. Ed è la sapienza del verso allora entro le brevità strofiche e del metro a sostenerne l'eco, il riflesso in cui il silenzio nell'apparire delle sue feritoie sa reindirizzare nelle tracce acquietandone nel distacco le interrogazioni. Sorretto da una fede nella nominazione il cui bene è già nell'esplicazione del dire il dettato si nutre di osservazioni, di passaggi tra "Corpo e anima,/ sostanza e spirito" nella cui nudità di "pesantezza e leggerezza", nel cui abisso l'io- seppure nella perdita, seppure, nel dolore- prova a rifondarsi nell'accettazione trasfigurante di una realtà per sua natura irraggiungibile. Il pensiero dunque è lascito contro "quel potere disgregante del presente" di cui ci informa Antonella Pierangeli nella prefazione; la poesia nel dolore come affermazione e informazione di vita nella richiesta di dignità da cui risale. Ed in cui si salva nell'oscuro avanzare della sua tensione, nella possibilità sempre attuale- e partecipe della sua rincorsa. Qui la maturità di questa prima prova si fa più evidente risolvendo via via in contemplazione lirica quegli spazi in cui la parola, dimorando e riposando (secondo una felicissima espressione) sa liberare nel silenzio dei motivi il senso di un partecipe e comprehensivo vuoto. Eppure proprio quando il gioco della scrittura sembra salvare dalle dispersioni osserviamo come l'autrice non riesce a tener dietro smorzandone gradualmente la forza, ingolfando il discorso in un eccesso di testi che ne abbassano il tono. Ciò però non cancella la bontà di una meditazione e di un percorso sulla via della maturità e a cui auguriamo quel coraggio a cui tanto aspira.