L'ispirazione che viene dagli uccelli, l'attenzione suscitata dalla loro presenza e da un dono quello del volo a noi negato è da sempre, dalle osservazioni dei primi, nelle risonanze dei poeti in quel canto sovente segnato da una perseguita malinconia nell'inclinazione alle parabole, agli inseguimenti non raggiungibili tra cielo e terra. Anche la poesia del nostro novecento non ne è stata immune pensando così, tra i tanti, a Montale, Saba, Ungaretti (e appena prima a D'Annunzio e al Pascoli), al Cardarelli con quella struggente, intensissima "Gabbiani" che non smette mai di stupirci. E però ci vuole amore, consonanza vera e coraggio in questo percorso tra ornitologia e misura dell'anima, nella disciplina di un apprendimento che viene dapprima da una progressiva coscienza del peso e poi per sapienza dell'occhio. Giancarlo Baroni, parmense di navigata versificazione, ce lo ricorda nella scrupolosità di un accento sempre vivo perché fermo nella dilatazione di un riconoscimento che non si illude, che non confonde, a riprova dunque di quanto già sottolineato da Pier Luigi Bacchini nella prefazione a dire tra i viventi solo il possibile raggiungimento di un "combattuto equilibrio" nella "delineata separazione tra le specie". Un lavoro che viene da lontano e che Baroni ha voluto rivisitare essendo il libro un completamento di una prima edizione (2009) raccolta nella prima parte a cui nella seconda seguono testi nuovi o precedentemente esclusi nel compendio delle belle illustrazioni di Vania Bellosi e Alberto Zannoni. L'alzarsi in volo della prima omonima sezione segna allora più la spinta di uno sguardo umano nella curiosità della tensione che non il librarsi stesso dei pennuti, scrutati, immaginati e rincorsi nel racconto di un mondo descrivibile, come tutto ciò a noi sconosciuto, con parole e riferimenti umani appunto in quella trasparenza di rumori e tocchi e voci nascoste che di noi non si curano, osservandoci dall'alto quasi ad avvertire però di non essere coinvolti in ciò che non sanno, di non cercare di indovinare nei loro voli il futuro, "il progetto di chi ci sovrasta". Così seppure nati prima di tutti, prima degli eroi e della terra, e messaggeri di un mondo a cui noi aspiriamo con la preghiera (la loro città di aeree frontiere è comunque tra gli uomini e gli dei) sono tratteggiati nei versi da una terrestre equità di cornicioni, pozzanghere e salti, di lotte e spole tra rami resi nella nobiltà e nell'orgoglio della figura, nell'arabesco dei colori. Davvero Baroni ci restituisce un campionario ricchissimo di piumaggi, danze, nutrimenti nello sfilare dei falchi e pavoni, colibrì e aironi, storni, anatre, aquile, tarabusini, quaglie e pettirossi (solo per citarne alcuni). Il tono bello è quello divertito, serio come di studioso ma per sé, per il proprio spazio di mistero a cui allargarsi nella interrogazione di un mondo, di una vita che non riusciamo più a percepire nella malattia e nella morte che va a corrodere ("Quali uccelli verranno/dopo di noi? e quali piante?"). Ecco allora al centro del quadro i merli, cuore di una geografia- e storia- personale in una investitura di riferimenti e motivi che non stupisce: la cara Parma e l'assedio del 1248 nella ferocia degli uomini ma anche nell'intelligenza delle donne, nella bellezza della sua arte. Nell'ex Convento di San Paolo (luogo come ricordato ricco di natura cultura " a cominciare dalla splendida Camera affrescata dal Correggio") queste piccole creature, protette dai rapaci e dai pericoli del mondo in un luogo ospitale anche nella rigidità del giorno, sembrano echeggiare, beffeggiare con allegria il tempo tra disputazioni sul trattato di ornitologia e falconeria scritto dall'imperatore (quel "De arte venandi cum avibus" conservato lì dalla Badessa Giovanna e di cui loro si sono eletti custodi) e la simpatia coi putti dipinti dall'Allegri sul soffitto nella somiglianza di vita sulle nuvole. Nella concessione solo di brevi migrazioni all'orto botanico, alla fortezza farnesiana d'estate, sembrano ricordare quell'esistenza parallela e serena che la storia non contempla ma che l'arte suggerisce nelle ispirazioni di un bene possibile forse solo nel ricordo e qui riportato tra le pagine più riuscite di un testo sempre esatto. E che si conferma nella seconda parte, relativa come detto a testi aggiunti (e accompagnati dalla bella prefazione di Fabrizio Azzali), negli inseguimenti e nelle fughe con cui, in "Una geografia celeste", nel disegno di un viaggio infinito andava a chiudere il discorso precedente ("Non un labirinto/ma una geometria di scarti/ di gallerie sbocciate su radure/di crocevia e di fughe./ La morte qui non saprà scovarti"). Qui il tono si chiarifica nel rigore di una coscienza che sa vedere nelle migrazioni non un'astratta libertà di terra ma la necessità e la fame di chi, innumerevoli, sa per quale sopravvivenza muove. Seppure poi Baroni mai abdicando al gioco scherzoso degli umori in cui i suoi favoriti continuano a sorprendere nelle loro apparizioni inaspettate, nelle multiformi griglie delle loro esplorazioni, delle loro incandescenze (in una teatralità di suggestioni che li porta ad incuriosirsi della natura dei poeti). Maestri della presa di distanza dalle cose e da un mondo che implora impazzito una uscita, dalla finestra uno spazio, una rimessa in ordine:"non oltre gli uccelli/né sotto agli uomini,/ amando questi /quanto più si è capaci di afferrare/ i segreti dei primi". In conclusione un libro questo di Baroni che conforta nella sapienza di una scrittura, di un verso- robusto- entro l' antichità di un dettato riflesso in questo canto nella misura del nido ("Intrecciato di piume e vegetali/poi murato col fango") dove "una coppa accoglie//come un uovo la Terra". E che resta a nostro dire come uno dei più bei testi di poesia degli ultimi anni a dimostrazione di quel brevissimo frammento di Holderlin: "e davanti ai/ Migliori passano gli uccelli".