Con questo libro, stampato su carta pregiata che aggiunge al piacere della lettura quello del tatto, la Del Moro entra nella schiera di quelle donne che cantano, con veridicità descrittiva e una quasi spasmodica irruenza del sentire, il proprio corpo come soggetto desiderante e insieme come oggetto desiderato, in un'alternanza dolorosa fra assenza e pienezza del piacere. L'autrice fa, dunque, suo un lungo percorso di liberazione sessuale ed espressiva, che ebbe, probabilmente, le sue punte più scomode e ardite nelle poetesse americane, fra l'altro legate da un rapporto d'amicizia, Sylvia Plath e Anne Sexton, e a cui tutte le autrici successive, anche quelle europee, hanno fatto riferimento.
Tra le italiane, per esempio, il caso più eclatante, negli anni ottanta del Novecento, fu quello di Patrizia Valduga con la sua commistione di elementi formali tradizionali e impetuosità erotica del linguaggio.
La Del Moro, più che a quest'ultima, sembra ispirarsi alla Sexton, sia perché come la poetessa americana mette in scena un amore adulterino, sia per l'atteggiamento anti-cattolico nei confronti di Dio, rappresentato nel testo di chiusura come una sorta di psicoanalista-guardone, tra fantascienza e blasfemia.
L'unico oggetto sacrale rimane, dunque, il corpo, che si fa, all'interno di una professione di misticismo laico, strumento di comunicazione con l'Altro, l'Amato.
Quest'ultimo è rappresentato come una sorta di ambigua divinità che, dopo le benedizioni e la gioia e l'ardore amoroso, una volta perduto, viene fatto oggetto di ironia dissacrante, nonostante l'assedio del dolore.
Sembra, allora, che la Del Moro costruisca, non so quanto consapevolmente, una relazione fra la figura di Dio e quella dell'Uomo, entrambi feroci e deludenti; una sorta di attacco, insomma, alla mentalità patriarcale: ed è proprio questo a costituire l'elemento di modernità e di scardinamento rispetto alla lirica amorosa femminile del passato.
E' un punto di vista, infatti, che allontana l'autrice dal pericolo di una ridondanza sentimentale, sebbene le poesie dell'amore condiviso siano assolutamente imbevute di romanticismo: il pranzo preparato con raffinata cura dei particolari, la cosmesi del proprio corpo, lo sconvolgimento dei sensi, una certa sudditanza fisica rispetto alla figura maschile, la disperazione dopo l'abbandono.
Ma la differenza sta nel fatto che la poeta conserva, comunque, una ferma consapevolezza di sé, restando una persona non dimidiata, “disamorata a tutto,/ ai miei amici e agli altri indifferente”, e però pronta a difendersi con “la vincente crudeltà”, che è una reazione per antonomasia virile.
In ultima analisi, la Del Moro ci racconta una storia d'amore, forse autobiografica, forse no: una lei ha una relazione con un uomo già sposato, che in un primo momento sembra innamorato e coinvolto, e poi non esita ad abbandonarla, provocandone la delusione, la rabbia e il dolore, Fin qui la situazione, per altro affatto rara, oggi.
Ma la magia della Del Moro sta nel trasformare un'esperienza comune in un evento poetico (ed è questo soltanto che davvero conta), attraverso un linguaggio che, perfino quando resta legato alle cose e ai gesti quotidiani, sa creare un'alta temperatura emotiva e immaginativa, sorprendere con la qualità e la novità di certe immagini, e mettere in scena crudezza e tenerezza di dettagli anatomici e gesti erotici con eguale coraggio.
Ci vuole, infatti, molto coraggio per dirsi in questo modo, per infischiarsene dei giudizi, per sconvolgere certi parametri morali e religiosi.
Ci vuole anche una femminilità prorompente ed una testa capace di pensare in modo autonomo per concepire e scrivere poesie d'amore di questo genere.
In altre parole, questo prezioso libricino di Francesca potrebbe rappresentare un suo amabile, fedele e veritiero ritratto. E di questo tutte noi dobbiamo esserle grate.
Il libro è stampato in tiratura limitata di 100 copie numerate.
Chi volesse procurarselo, può scrivere a Edizionifolli:
secco@vinincanta.it