Di Giovanni Baldaccini
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Giovanni Baldaccini
- 18/02/2016 19:16:00
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Felicissimo per la tua lettura, Maria Grazia. Ti ringrazio molto.
Maria Grazia Ferraris
- 17/02/2016 17:07:00
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“Colleziono distanze: una fatica enorme.” “Se mi annoio coltivo passeggiate” “Nel sonno ricostruisco stelle: le faccio di carta, senza fuoco,magari un po’ filanti…”: versi che ci immettono in un mondo complesso, intrigante, ricco e disperante. Poesia e prosa così intimamente legate che non sai dove comincia o termina l’una o l’altra. Grande consapevolezza e capacità di dominio di pensieri, emozioni e sentimenti. grande capacità di muoversi con una parola ambigua, usata come un esperimento ironico, capacità di scavare senza trovare mai né limite né fondo…Andare. Verso dove? quale altrove? esiste un altrove fuori da se stessi? e pseudo risposte: … “devo pensarci su;/ certe proposte/ mi sfilano la nebbia dal cancello/il varco/ la rotativa dalla copisteria/e stampare per strada/ rende tutto uniforme…”e le prose come doppio–lucide ed intense- di appoggio e sconfinamento: ” Colleziono distanze…. Prima di riparare, spesso interrogo cose. Un programma, una speranza.lavoro molto interessante
Giovanni Baldaccini
- 17/02/2016 14:17:00
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Ti ringrazio moltissimo per la lettura e le parole che hai voluto dedicare al mio lavoro. Sono grato.
Luciano Nanni
- 16/02/2016 21:49:00
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Potrei definirla poesia lirica, ma non intendo porre etichette. Quel che importa è la resa, stilistica e creativa, che qui ritrovo spesso. Ci sono versi memorabili, per esempio: “dove siedo e aspetto | una forma lontana”. Bellissima intuizione: cos’è quella “forma lontana”? Non importa che io capisca, ma conta l’ineffabile sentimento che mi suscita. Ogni parola ha una sua specifica ‘vibrazione’ che va percepita. p. s. trovo azzeccato anche il titolo della raccolta.
Giovanni Baldaccini
- 16/02/2016 15:17:00
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Tenterò di ringraziare Franca Alaimo e Guglielmo Peralta per questa loro lettura del mio lavoro. La prima per aver colto lenigmaticità del testo e questo, partendo dalle premesse da cui muovo, mi sembra già un bel risultato. Un autore, infatti, spesso si chiede (sbagliando) se quel che ha scritto potrà essere compreso, dato che la scrittura spesso sfugge ai suoi stessi intendimenti. Si tratta di una domanda che un autore non dovrebbe mai porsi: non è infatti importante che il lettore (eventuale) comprenda quel che il testo pretenderebbe di esprimere, ma che lo legga e, leggendo, ne dia una sua interpretazione che lautore deve augurarsi sempre libera, e dunque distaccata dai suo vero pensiero. A Franca devo dire che la mia grande passione è la musica e che ho cominciato a scrivere parole, molti anni fa, per la mia incapacità di esprimermi musicalmente. Dunque, pagina come surrogato di spartito, per tentare comunque di trovare un ritmo e un suono. Franca mi dice che, almeno in questa mia silloge, ci sono riuscito e per questa conferma la ringrazio infinitamente.
Muovendo di nuovo dalla domanda che chi scrive spesso si pone, se cioè il suo testo risulterà comprensibile alleventuale lettore, devo ringraziare Guglielmo che si è spinto oltre le mie più rosse speranze: la sua lettura è perfetta! Mi è costato un notevole impegno questo tentativo di costruire un discorso sensato e conseguenziale attraverso una serie di testi in versi. Senza ricorrere ad alcune brevi prose per raccordo, probabilmente non ci sarei riuscito. Quasi un fratello, Guglielmo, un altro me stesso che del mio testo parla e ne spiega passaggi che, come giustamente mette in luce Franca, spesso non risultano chiarissimi. Tu sei riuscito a leggerne quellunione che ho faticosamente cercato. Non posso ringraziarti come meriteresti per il tempo e lapplicazione al testo che hai dimostrato nel tuo commento. Posso solo dire che non speravo tanto e la tua lettura mi giunge come una conferma. Ti sono davvero grato! Un caro saluto a entrambi.
Franca Alaimo
- 15/02/2016 22:28:00
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E un libro complesso "Oltre il varco della notte" di Giovanni Baldaccini, traboccante di immagini da intendere in tutte le accezioni che il termine ha nella lingua latina (da cui deriva) di ombra, fantasma, simulacro, pensiero, spirito; poiché di questo si tratta: perdere confini, uscendo fuori dallo spazio-tempo che delimita i luoghi e la durata dellesistente. Da quale sentimento nascano questa assenza e questa dimenticanza è difficile dire: paura della morte, che in questo modo viene rinviata illimitatamente; rifiuto del reale, che viene trasformato in unonirica visione di colori e in un accumulo disordinato di sensazioni e ricordi; desiderio di coincidere non con i bordi della propria vita, con i suoi segmenti messi in bella fila nel tempo e nello spazio, ma con qualcosa di più vasto, fluttuante, rimodellabile a proprio piacimento. E questo versificare così enigmatico (anche i brani in prosa hanno lo stesso linguaggio dei testi poetici), così consegnato a dimensioni astratte, mi sembra trovi la sua giustificazione estetica nella qualità dei suoni: essi hanno un ruolo molto importante, infatti. Il lettore, spesso, dimentica ciò che sta leggendo e cade nella fascinazione dei versi che somigliano a dei grumi musicali, attraverso i quali gli sembra di raggiungere lo strano segreto di questa silloge, questa, come dire?, sua liquidità in cui tutto si muove, oscilla, galleggia, affonda, riemerge: un gioco serissimo, in verità, perché qui si tratta di andare "oltre il varco della notte" e rifondare tutto.
Guglielmo Peralta
- 14/02/2016 16:41:00
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"Precarietà delle stagioni", precarietà della vita, precarietà del mondo, della terra. Qui sembra essere il punto centrale e di partenza, da cui muove e attorno a cui ruota il pensiero speculativo di Giovanni Baldaccini. Contro una tale instabilità occorre una presa di coscienza, una nuova maturazione della "lateralità" per acquistare padronanza del proprio corpo, per non perdere le coordinate spazio-temporali ("Se mi sguscio/ impossibile dirlo") e restare legati agli eventi, agli accadimenti, alla storia, al proprio destino, alla realtà indefinita e apparente, "asserragliati al limite/ dellanima, alla morte"... a meno che non si decida di viaggiare nellimmaginario e "tracciare rotte nuove", fuori "dalluniverso sparso", oltre la visione relativistica, abbandonando il palcoscenico della terra, dove siamo ombre, immagini, forme vuote, esistenze irrappresentabili, «anonime» e «deiette», gettate in questa apertura dellessere che è il mondo. E qui sembrerebbe prendere corpo la lezione heideggeriana sulla possibilità che abbiamo di sottrarci allinautenticità dellesistenza quotidiana e realizzarci pienamente mediante un nuovo approccio con la morte e con langoscia che ad essa si lega inevitabilmente. Ma in Baldaccini cè un progetto nuovo, un cambio di prospettiva, rispetto ad Heidegger, in quellandare "oltre il varco", che consentirebbe di superare la dimensione cronotopica e "scorgere", raggiungere "linverso", conquistare "un firmamento personale", inaccessibile alleterno ritorno delluguale. Contro lapertura di Nietzsche, contro la sua «volontà» dionisiaca prevale nel Nostro poeta il pessimismo ragionato e ragionevole di Leopardi. Egli, infatti, afferma che "per noi il sollievo è nel finire". Ma "il tempo è unastrazione/ e luomo un tentativo". Proiettarsi in una dimensione altra, "verso universi non classificati" è possibile se ci si mette "di notte" «in cammino verso il linguaggio», sulla via indicata da Heidegger, che è quella della poesia, la sola in grado di colmare il vuoto, il "buco nero" nel quale si è tentati di sprofondare. Contro questo nichilismo, contro il dominio dell "inattuale" e dell "assurdo (che) sannida nelle ore, oltre il visibile" vale lottare, pur correndo il rischio di naufragare, di sparire nello spaesamento assoluto. Perché, per Baldaccini, scomparire, eclissarsi è loccasione che è data a noi, come alle cose, per mostrarci, per essere! Scommettere sul Linguaggio sapendo che "la vita si scrive e si cancella" significa affidarsi alla notte, consegnarsi allimpossibile, valicare le distanze oltre il visibile, conquistare il potere di ordinare "alla morte di morire ed alla mia paura di nuotare lungo le forme dellimmaginare". In questo altrove è possibile congedarsi, "muoversi adagio nellovattato nulla" fino alla sparizione auspicabile del mondo e nella prospettiva di una nuova dimora, di una residenza al di là dello spazio e del tempo.
Questo testo di Giovanni si presta, come tutte le grandi opere, a diverse interpretazioni per quel velo di oscurità, presente nella luce e nella bellezza dei versi, che, come asserì Ernst Cassirer, il filosofo delle forme simboliche, è il più adatto modo di rendere alluomo la "verità" che la semplicità della forma, la lucida stringatezza del discorso non è in grado di adeguatamente penetrare e rappresentare. In mancanza del passepartout, ho usato una mia chiave di lettura procedendo in linea con il "circolo ermeneutico", lasciando, cioè, "parlare" il testo e limitandomi a rispondere alle "sue" domande. Spero di avere prestato bene orecchio!...Diversamente, la prossima volta ricorrerò allAmplifon!
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