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Francesca Romana
- 20/11/2012 10:59:00
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Scoperto casualmente grazie ad un Blog (Strani Giorni), sono rimasta talmente affascinata dalla recensione che lo avrei comprato, ma addirittura è gratuito. Leggendolo mi sento sospesa in una dimensione senza tempo. Complimenti!
Loredana Savelli
- 05/11/2012 21:13:00
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“…che possano le mie notti vibrare per i lamenti e le mie ossa nella dolenza lentamente macerare… …tenterò di risalire dall’abisso se Tu, Identico, per misericordia lo accetterai.”
Questa poesia (pag. 8) mi pare sintetizzi bene l’atteggiamento poetico di Massimo Caccia, la sua costante tensione spirituale, sostenuta dalla consapevolezza della sofferenza umana e del senso del nulla nelle “quotidiane riottosità”. Fortissimo è il sentimento della natura, piemontese in particolare, scrutata alla ricerca di segni che rispecchino i turbamenti dell’anima. Da questa consuetudine, intimamente desiderata, nasce lo sguardo del poeta, distaccato (“barbaro distacco”) e lucido, sofferto e sapiente, di chi coraggiosamente osserva il “delirio collettivo” di quest’ “offeso mondo” ma non si infiacchisce. Particolarmente sommesse le poesie dedicate agli affetti più cari. Anche il titolo riassume lo spirito del libro: è un silenzio gravido, pensoso, accorato. Un silenzio simile al silenzio di Dio.
Gabriella Amstici
- 01/11/2012 17:53:00
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Quando arriva un eBook lo leggo senza documentarmi sull’autore né leggere gli scritti precedenti o i commenti già espressi proprio per non essere condizionata. Così questo Ex silentio m’ha un po’ turbato avendo trattato argomenti sensibilissimi come il tempo passato, i ricordi perduti, una vita imbruttita nel tormento delle ossa dolenti e delle fibre indebolite. Riemerge la rabbia dei torti patiti, l’angoscia di un lungo cammino ormai finito che induce addirittura al non lasciarsi esistere e allora ho pensato che costui volesse morire. Insomma mi sembravano i versi di una sofferta vecchiezza, di sensazioni “come schivi germogli che troppo presto il sole secca”, di desideri assopiti agli oblii della carne, ma poi appare la gioia di veder il figlio che gioca e non capisco più in quale metaforico tranello sio caduta. Allora scopro che l’eruditissimo Massimo Caccia è un professore di soli 47 anni, che ha pubblicato diversi testi, vinto concorsi,che vive un esistenza piena di progetti affiancata pure da moglie e figlio. Forse il nesso della misteriosa silloge è racchiuso nel commiatus, dove si potrebbe cogliere un invito a un’esistenza consapevole delle umane tribolazioni e del suo fatale declino magari rivolto a qualcuno che se ne lamenta un po’ troppo. O no?
Meth Sambiase
- 01/11/2012 16:18:00
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vorrei libero ricercare versi lontano dal delirio collettivo. Sono versi in condizionale, quelli che ho letto, dove il volere e il potere si fondono con paesaggi spesso invasi dagli spiriti dellautunno, nel passaggio leggero del silenzio di Dio. I versi sono figli destinati a ricordare i padri poeti che amavano attraversare la Natura per ritrovare se stessi e il proprio canto. Raffinate le liriche dedicate alla moglie. Ex silenzio, nei decenni con nelladesso.
Cristiana Fischer
- 01/11/2012 12:27:00
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Ciao Massimo Caccia, ho letto con molto piacere queste tue poesie, perchè mi rispondono in un linguaggio anche aspro, con sintassi sapiente e scorretta, con paesaggi mentali arredati di riflessione. Ho notato dei passaggi di bellezza "luce che improvvisa tratteggia/i contorni delloscura figurazione", "al male consapevole/per originale disgrazia ... originario/vivere nella sua terrificante purezza /ci ridona consona onesta dimensione", lultima tenera strofa per la bambina Giulia, il tema della condivisione nelle ultime poesie "Finalmente il baratro nella genesi/catturato dalla contemplazione." p.s.: Mi sono poi rallegrata sulla strada di Montereggio, per me un luogo dellanima, ho avuto casa a Parana e alla Piana per anni, anni...
giorgio mancinelli
- 31/10/2012 08:02:00
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Come di un ponte che dal passato (di un poetare stanco) si spinge verso l’alto per poi fermarsi, sospeso nel cielo terso eppure bigio (senza luce), quasi a voler riempire (o forse alla ricerca) gli spazi interstiziali, minimali (non minimalistici) dell’esistenza. Senz’altro crudo (autoreferenziale) il linguaggio, anche se colto, che quasi ‘s’attarda nell’inerte dispersione’ delle parole con ‘barbaro distacco’. Il verso indugia, talvolta, nello spazio ‘al negativo’, come per una fotografia di un qualcosa ch’è stato, che vuolesi imprimere nel colore, e che la scelta pur sottile dell’autore, fa ricadere ‘nel taciturno preludio del niente’. Dice: (Vorrei libero ricercare versi, lontano dal delirio collettivo) (..) ...placa lo strangosciare (?) passionale; ben altra cosa l’esser consapevoli … ; gustare vorrei l’umano passionale tripudio, senza troppo pagare delle debolezze lo scotto. Il silenzio di Dio sul mio eremo / immobile grava, infranto indugia / il nulla dallo scrocchiare dell’esistenza. Siamo oltre la ricerca poetica affine alle parole, oltre la necessaria speculazione del pensiero che pure non è filosofia, eppure è qui che si consuma, l’eterno infierire dello spirito sul narcisismo retratto dell’autore, come di chi per difendere la propria fragilità fa violenza a se stesso, o meglio, si lascia violentare dalla psiche e ne assapora il gusto.
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