Si sapeva
che non erano buona medicina
i flaconi allineati sopra il comodino
giù in gola e non pensare panico
agli svincoli perdemmo la memoria
restò lo sberleffo di un folletto
che fa vorticare polvere davanti al mare.
Ci restano queste labbra amare
che non sanno dividere più il pane
un sapere sciapo di sole furbate
e nessuna lacrima per i fratelli
che per disperazione a rive di miti
sono pasto per pesci fra Africa
e Sicilia poche miglia troppo dolore
di Scilla e Cariddi narriamo le fole.
Ci restano labbra siliconate
chirurgie di bellezza senza stagioni
senza mele senza brufoli senza batticuori
giovani stelle imbarcate a poppa
neppure un tuffo un delfino uno schizzo.
Abbiamo spalancato anche i cieli
per cavarne una sapienza di alti voli
che strinano l’azzurro di polvere
e di fumo radioattivo fino a te
pallida luna extracomunitaria e mesta.
Siamo superbia solitudine malattie
dell’anima e non riconosciamo l’uno
nei molti per venerare un saldo di banca.
Siamo un salto nel vuoto abissi
più raramente
trasvolate di nuvole rasserenate.