Ho dovuto scrivere di nascosto,
perché non si dicesse
che non ero donna di casa
MARIANNINA COFFA
(a Camille Claudel)
Davvero troppo ingrata
l’epopea che ti calò nell’ombra
come una barca fradicia alla cala
e strinse la mordacchia ad un talento
che movimenti dava alla passione
Ferita dagli inganni
e dagli amori instabili e inquieti
donavi la tua anima alle forme
che portavano in seno
il tuo tormento
e forse orgoglio fu la solitudine
che presto avvolse
il corpo e la tua voce
quando un bel sogno poi
diventa inferno
Ma femmina rimani
donna e amante
ora che tardi arriva il tuo dolore
per quella libertà mai rassegnata
fino all’ultima lacrima d’argilla
(ad Artemisia Gentileschi)
L’arte era segnata già nel nome
e pronta ti trovò ad una prova
coi toni che brillavano di luce
come lucente giunge quell’ardire
che perturbò le regole del tempo
e ti costrinse a stare fra le mura
come preda che fiuta la cattura
Ma non fu macchia
di tempera quell’onta
del drudo immondo
sporco ed infedele
che profanò il casato e le tue cosce
fino a dare sgomento a tanti giorni
offesi da menzogne ed afflizioni
E forse fu cromatica vendetta
o donna che risorge da una pena
figurare Giuditta su Oloferne
per assestargli una lama in gola
(a Ipazia)
Guardando il firmamento
ed ascoltando il moto dei pianeti
ti raccolgo da un angolo remoto
come una fucsia pendula dall’ombra
e non importa se leggenda o mito
quel vago che racconta la tua storia
colma di grazia e di sapienza antica
se donna eri aura irraggiungibile
e ambita sete per gli spasimanti
Eppure altri garbugli
ed altri patimenti
inflitti con il segno della croce
fermarono gli accordi d’un pensiero
fino a ridurre in cenere parole
Vorrei ridarti gli occhi
la tua bocca
e ricomporre vergine il tuo corpo
per ascoltare un ultimo
grido di libertà firmato Ipazia
[ da Tra un niente e una menzogna, Nicola Romano, Passigli, 2020 ]