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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

Poesia della settimana

Questa poesia è proposta dal 16/07/2018 12:00:00
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Zero al quoto

di Fabrizio Bregoli (Biografia/notizie)

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SAPERE DI TE

 

Curioso sapere di te

da due strisce decise, un rosso acceso

su uno stick di plastica bianca

cartina di tornasole, alchimia

di non so quale imprevisto demiurgo.

Sei attesa, radice di silenzio

principio di ogni possibile giorno

ma breve è la misura del tuo esistere

già strappi istanti al corso del tuo tempo,

oggi solo una fitta impercettibile

poi trepido sfarfallio d’ecografo

polline di fiato, quieta distanza

che attimo su attimo si colma.

Io ti crescerò battito su battito

con la perizia attenta d’un orefice

a mani nude ti consegnerò

quell’ingombrante vita che pretendi.

 

Non avere fretta di essere mondo

nulla andrà perduto, ti tratterrò

l’effimero d’un fiore

l’angusto spazio d’una neve.

Non avere fretta, qui tutto scalcia

conoscerai astio, menzogne d’uomini

impietoso linciaggio d’anni, tu

fanne limo profondo di sapienza

verità, come di provvida pioggia

rettitudine e inalterato amore.

 

 

CONCETTO SPAZIALE. ATTESA

(Lucio Fontana 1960)

 

La luce, quel confine da violare

e che ogni volta sa scivolare oltre

sprofondare nella sua bocca d’ombra.

È questa tela ad esserne la lama

a farne dello scempio un varco, crosta

che si spezza tra le dita. Lo spazio

fu acqua dove intridersi

vena che s’offre al boia.

Lo stanai nella sua casamatta

al baratto di tutte le sue nascite.

Forse bastò solo schernirlo.

Fu come appoggiare l’orecchio

su una sistole del cosmo, impietrirvi

la pupilla. Per questo scelsi minima

l’arte, perfetta

la sottrazione.

 

 

 

DI UN INCOMODO PELUCHE

 

LA POESIA: confidenziale colpo di gomito alla morte

qui inibita dalle sue (per un attimo) gambe corte.

(Andrea Zanzotto)

 

L’ippopotamo già stinto da troppe

lavatrici, infeltrito dal rullio

radente delle ore, dici sia scudo

contro i cicloni, spauracchio del buio

come quando vegliava le tue notti

nel tralucere a lato al comodino.

Forse erede di quell’infilascarpe

quell’immondo cornetto arrugginito

liquidato comme il faut al terzo Xenia

alberga lì tra i limoges, i boemia

le cornici d’argento, i memorabilia

in spregio della polvere

a sfregio del decoro della casa

e secréto sull’orlo delle palpebre

come amuleto a guardia dagli inganni.

 

Ma altro ti significa quell’indomito

relitto d’infanzia. È nell’imbarazzo

in cui giace attonita sul foglio

indugio su indugio, verso su verso

la circospezione la maestria

tua di scrivere, perché non è afflato

di memoria non sura non bestemmia,

perché come quello sconcio ippopotamo

mai nulla cambia né mai serve

a nulla mai la poesia,

declinazione esatta

prontuario dell’inutile. Inutile

e irrinunciabile.

 

 

ZERO AL QUOTO

 

Chi sa come t’immagini, se appanna

la tua linea esatta quel po’ di specchio

dove il vapore reinventa il mondo

mentre t’asciughi uscendo dalla doccia,

chi sa cosa resta di quel te impavido

che si scaglia come una profezia

sulle formule delle celle excel

e tutto inesorabilmente quadra.

Dicevi vizio, estro di simmetria

quello sdoppiare, sfaccettare il senso

quando unica è l’aria che si respira

per gradazioni appena più sbiadite

monocromie di soffocamento.

Così pensavi di quell’infittirsi

dei numeri da interi a relativi

quel loro suddividersi in frazioni

radicali e mantisse logaritmiche,

perché si progredisce tutti ad una

diversa densità degli infiniti.

Nelle fessure della pece algebrica

che appiccica i numeri mosca a mosca

credevi vi fosse un tarlo di spazio

che tira le somme, o almeno conguaglia.

Dicevi, poi si fa piano la conta

ci si rassetta il riccio fuori posto

si bagna il labbro, quieti si ragguaglia

si schiarisce la voce e con la mano si

fa buonasera, e più non ci si sveglia.

Si mette zero al quoto, tutto intero.

Si dice vedo: più non ci s’imbroglia.

 

 

[ da Zero al quoto, Fabrizio Bregoli, puntoacapo editrice ]

 


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