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quando dicevo suono
intendevo dire piuttosto la fine del suono
quando in sé ricade
e ciascuno nella sua separazione lo vede
tramutarsi in mancanza
e si esercita allora in sottrazioni
e ammette i limiti del corpo
ma quando dico vento
intendevo davvero il vento
con tutto il nero e le rotazioni che conduce
e pure intendevo il segno polare
capace di versare sguardi nel cielo improvviso
con la domanda ancora incompleta
ai piedi di alture incavate
*
è così che comincia
smottamenti in zone periferiche
cadute di corrente
lo scivolare del calendario verso il buio
il massimo esperto ritorna
e siede alla sua scrivania
ora lettere e precauzioni
non più dimestichezza corvina
ma appena alzi gli occhi al cielo tutto è certo
Orione e le sue ancore
e l’Orsa che si incrina all’incrocio degli assi
e guardi il polpastrello e il viaggio
dei suoi atomi
dal big bang a questa zattera coerente
*
le finestre illese entrano nei sogni
vanno a stazionare alte contro la vertigine
dove lo spazio preme
al di qua nulla davvero pesa
lungo i contorni affilati della notte ci orientiamo
regoliamo orologi su chi è andato
la geometria ripiega e si interrompe
i lati retti si sfarinano al contatto col buio
quanto era perso va ad agglomerarsi altrove
le finestre ora galleggiano
sulla superficie del sonno
il tempo si condensa sotto le volte
[ tratte da Verticali, Einaudi ]