Armenistis
Avevo quindici anni,
il corpo asciutto,
un vento incessante
sfiorava la pelle.
Bastava un tuffo
per cogliere il frutto del mare.
Mi parve che tutto
fosse per me: la terra il mare le stelle.
L'inganno cede nel tempo.
Sento a volte nell'aria una festa,
i profumi del mare,
inspiro e sono in Grecia, nei luoghi
che questa ha donato
perfetti ad un uomo imperfetto.
Non chiamarla debolezza
Come puoi chiamare debolezza
questo istinto a proteggere le cose,
questa voglia insensata di dolcezza?
Guarda la mia gioia, come canto,
come abbraccio la giovane sposa:
già s'è mutato in riso il pianto.
Non mi punge più la spina della rosa,
l'età non è rimpianto.
Tu non chiamarla debolezza.
Ciò che contando non trovo
Milioni di piedi, miliardi i passi,
troppo l'asfalto, miriadi di sassi.
Questo il mondo dove viviamo,
contare tutto non lo possiamo.
Così non contando vedo di nuovo
quello che contando non trovo:
gemme segrete in un mare di sguardi,
strade trovate tra milioni di passi.
Se siamo tanti non siamo mai troppi,
ché tutti si può vivere insieme
anche se c'è chi, non capendo, preme.
*
Stessi sempre con voi,
amici, quando Lui
ci ridarà il corpo. Perché
anche il Suo amore
passa da occhi, bocca, mani,
entra nelle orecchie, dalla pelle.
Con i nostri strumenti
canteremo la gioia
di non odiare né possedere,
ma scoltare per sempre,
accolti da uno sguardo
di infinito amore.
[ Poesie tratte da Passa dal corpo il cielo, Edizioni Gazebo ]