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Poesia della settimana

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Angeli

di Giorgio Linguaglossa

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Dialogo del poeta e dell’angelo

 

Il poeta:

 

Notte, fanale, stelle, comete.

Ardono i fuochi dalle azzurre sete.

Un’ombra brilla al raggio lunare.

Il nero cavaliere, il vento, il lupanare.

Cerco il santo Graal, la gotica azzurrità.

Il cavaliere, il santo, il trovatore

errante nel bosco frondoso. Il Graal

illude la mia oscurità. Io vado

per l’azzurrità che affiora dalla tenebra,

nel vento per oscure vie a salutare

con rossi fazzoletti la nostra malasorte.

Addio stella, sorte sgualdrina, io vo

per oscuri fanali a rammentare

notte lunare, stelle, lupanare.

 

L’angelo:

 

Insinuo nel tuo orecchio semi di girasole,

gelosia e mercantile sapienza.

 

Il timpano è il luogo della misologia,

l’occhio sfera dell’ozio, padiglione dell’irrealtà.

 

Essere essenza, vaticinare, battere il dito della concordia

e premere il mantice della lealtà.

 

La superbia ti ha reciso le vene

con un taglio secco dietro le chele.

 

A te la superbia e il girasole,

nato nel ventre di un pesce

nella città di Dedalo dormendo.

 

 

 

L’angelo rosso

 

Un angelo è presente qui nel mio bosco,

si spolvera le scarpe, scuote le vesti.

Io sono Tobia, sono senza parola.

Lui sta in silenzio, accovacciato ai miei piedi.

Non mi riconosci? io sono l’uccellino

cne portavi sulla spalla, sono il tuono

del colpo di cannone - Ed io sono il soldato

di guardia alla tomba del Cristo caduto

in letargo quand’egli resuscitò, io sono

il carnefice senza colpe che ha eseguito

gli ordini del Tribunale, sono la vittima

innocente che accetta il destino perché

Allah è grande ed impetuosa è la sua ira

e magnifica la sua clemenza. io sono

Filottete abbandonato dai compagni sull’isola

deserta e mi strazio e bestemmio il nome

del Signore... E tu sei un piccolo rosso

angelo che guarda le sue scarpe sporche...

 

 

 

Asraele

 

I

 

Asraele è l’angelo gobbo, scende

dal cielo scuotendo nere ali

e depone la discordia tra gli uomini.

Di lui null’altro si sa, invisibile

è il suo operare e nere nubi

lascia come un nastro funebre

dietro gli spalti delle stelle.

Asraele parla come un principe.

Avvolto in candidi panni nasconde

nel fondo del cuore il disprezzo.

Asraele parla alle stelle e disdegna

gli argomenti sublimi. Un eloquio

forbito fiorisce sulle sue labbra

ed il sorriso fluisce dal suo volto.

L’inquisito di rango volge le spalle

all’angelo, osserva la sua retroesistenza.

L’angelo dalle vele spiegate

interroga i morti e nasconde

nell’ampio panneggio il volto.

 

II

 

Dal pallore della sua sfericità

vola il candido Asraele. Vieni qua

oh alterità, informulabile presenza!

Il sonno abita le cordigliere

delle sue ali strappate al vortice

della Storia: Fessure di infinite

brughiere solcate da invernali

stormi di capinere, gli occhi lividi.

L’Angelo brandisce una spada

ed i colpi cadono su un minuscolo

diavolo dalle ali cartilaginose

ingrommato di pece. Asraele

è impresso nel vento immateriale.

Immobile, esegue un passo di danza.

Il dèmone, inquieto, ad ogni scarto

sprofonda la nella tenebra.

 

III

 

La soprastante felicità di Asraele

parla senza parole. Il suo corpo

ignudo dalle ali spiegate mostra

eburnea chiarità. La sfericità

della Storia conosce la morte e il

sangue. - Vola Asraele! attimo fermati

non sei bello quanto impossibile.

Fra gli angeli il più superbo,

candido di giovinezza e melancholia

il vento non scuote le sue ali.

Le nottole del tramonto sul

pallore del suo volto volteggiano.

 

 

 

Interrogatorio del morto

 

Quando il morto scese nella tomba

due angeli si recarono ad interrogarlo.

E Dio gli rese la vita, dalla testa dendroide

alla cintola. Il morto sollevarono

e a sedere lo misero e lo interrogarono

sul muso i due angeli inquisitori

Munkar e Nakir, dei quali disse il profeta:

“Il loro calamo è la tua lingua

e la tua saliva il loro inchiostro.”

 

 

 

Esortazione degli angeli al poeta

 

Munkar:

 

Come l’argilla è nella mano del vasaio

io ti ricopro d’un saio ardente e d’uno scudiscio,

ti inoltro nel deserto monaco derviscio

a predicare la gentilezza.

Come un angelo cui rimanga mezza mano

da te m’allontano e l’Albero mi accoglie

fedele così come lo lascio.

La tua porzione è scritta, ti serve altro?

Così come prescritto si compia il tuo viaggio.

 

Nakir:

 

Così egli ha messo l’eternità nel tuo cuore.

La stoltezza, l’errore e la saggezza.

I tuoi segreti si rivelano alla Sua carezza.

Ad ogni corda che tu pizzichi, tu gemi

come un’arpa e una brezza. Se con un filo

tu fai cento nodi, il filo è sempre un filo.

 

Il Poeta:

 

È notte. Mentre le fiamme lingueggiano

ascolto il crepiti o delle mie pupille.

Io sono l’amico del vasaio che soffia

nella coppa di vetro, sono l’amico del vetro

spezzato che si può incollare, io sono

il fratello del tuono benigno che porta

la pioggia risanatrice, sono il bottaio

che nei barili conserva il vino prezioso,

io sono il tappeto di preghiera, perché

tu possa prosternarti, sono sapiente

perché ho scelto di essere erba

e prendo appunti sul taccuino degli uccelli,

io sono il responso del giudizio

quando la sorte benigna tocca l’imputato,

sono l’immagine che un dio ignoto

ha impresso nella creta e, pentito,

l’ha rimodellata in altra forma, per

altra guisa, io sono la mano che obbedisce

al libero arbitrio e che serba il ricordo

della carezza, io sono il pugnale

che attecchisce sul tuo petto che rammenta

la brezza marina e i pesci del mare…

 

 

 

[ Poesie tratte da Paradiso, Edizioni Libreria Croce, 2000 ]



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