La violoncellista
La violoncellista estrae dal pozzo della notte
un alveare volante, le rotaie
della metropolitana, un tonfo,
un garrulo stuolo di cornacchie,
il vento che gonfia le lenzuola, il vento
che fa di marzo un maestro di nitidezze.
L'archetto si profuma di laghi.
La violoncellista ci abitua ad ogni sorta di miracolo marino
la testa gonfia di singhiozzi
percorre le incongruenze delle periferie
i sussulti dei treni inghiottiti dalla nebbia
i tornanti scoscesi dell'amore.
La violoncellista esibisce a volte un sorriso che non è di questo mondo
ricorda le beatitudini del bosco
siepi di rosmarino spalancate sulle palpebre.
Ma io voglio vedere le sue gambe voglio vedere
se l'alba le disegna una città di mare sulla fronte.
Le clarinettiste della banda
Alle clarinettiste della banda aprile
porge nuovi alfabeti sulle labbra e avvolge
la scansione degli anni al ceppo della primavera.
Le clarinettiste costeggiano le occorrenze
del vento, l'impellenza dell'amore
e l'idea stessa di una geologia del corpo,
le mani frammentarie e il farneticare
luminoso dei capelli, le promesse di una fertilità
terrena, la continuità delle gambe.
Le precede il fiume di una musica rotonda
che si sgrana in forma d' acini d'uva,
polpa d'anguria, si dissipa nel segreto dei chicchi
di una melagrana, si allarga nel respiro
di un'erba invaghita della luce.
Le margherite di Mozart
Le mani della pianista aderiscono
al perimetro della primavera.
Una matematica
successione di frasi disegna la bocca di Mozart.
Le dita schiudono un'adunata di margherite
dispiegano davanti a noi un tappeto di papaveri.
La pianista è agile e bruna, ha labbra
che inseguono la puntualità delle nuvole.
Il brivido del corpo sposa il suono
converte in paesaggio il flusso, la corrente.
Alberi dai profumi sonori
nascono dalle vene della notte.
La pianista stila un elenco completo d'inquietudini
chiama per nome le paure, un bosco
o una porta che sbatte.
Evidenzia un nudo bisogno di luce.
Fa di aprile un'arma che inaugura
campi di girasole.