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Non cresce l’erba e solo è il dente di leone
- un soffio è sufficiente per dissolverlo -
e in una sfera di piume s’apre a seminario.
Corre lungo la staccionata una blatta,
nel sole s’inerpica uno straccio di vento
e il solstizio verticalizza la luce di riflesso.
Le parole si frammentano in un diluvio,
finché spiove dall’alto e sbava la lumaca
al sortilegio del canto a venire nel frutto.
Nel corrimano sopra il ballatoio
si consuma la fretta dell’andirivieni
e il culmine di vita entra nella solitudine.
Il sapore è attonito nel sale dell’estate
e brucia come un pane nel fervore
la scommessa che il sogno è tutto vero.
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Nessuno può sapere il margine del vento
che sopperisce nel basalto della scoscesa,
se il primo passaggio sventa il colpo
e schiude nel bregma l’idea che alleggerisce
il passo sopra l’incertezza del vulcano.
A dare fiamma all’attimo che svela
se ansia o fretta di arrivare sono piane
o trema il computo della salvezza.
E spiazza la radura dopo il tuono.
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ammonimenti a spingerci nei cugni
delle ricuciture ne avremmo avuti
a iosa da chi stenta l’ago e il filo
ma la strettoia si fa muta se la parola
si tramuta in un lacerto di menzogne
meglio lo strappo del dire aperto
senza sotterfugi di rimpianti e pesi
solo un sostare nel silenzio di aria
e scivolare lieve nella larga via