Droga - inedito
Volevi provare,
mia giudiziosa amica,
e andammo in quei meandri
del parco
dove più sentivamo l'ebbrezza
del rifiuto,
delle scelte ascose,
e lui, più esperto,
ci raggiunse
con un sorriso d'intesa sotto i baffi
e il volto smunto.
Tu volevi per gioco, e io per davvero,
ti presi alla lettera e capii
che da tempo aspettavo
d'incrociare quel pomeriggio;
non chiedere perché
fu la strada facile
e più mai tornai
mentre tu ti ritraevi prudente
salutandomi con la mano dal ciglio
delle fragole e del vento,
risucchiata dalla lontananza.
Fu l'inizio
in cui imparai
a precipitare nel nulla
che ancora mi morde,
da quell'aereo giorno nell'oscuro del parco,
di vortici,
buchi neri,
di sdrucciolosi sentieri.
Il mio amico D.
Dopo una dose
rimanemmo al baretto
del più e del meno,
tu aspirante avvocato,
io aspirante niente,
è che avresti voluto amarmi
per una notte
e io tergiversai
perché la mia notte è capricciosa
e tu famigerato tossico di quartiere
non eri nelle mie corde,
il buio tutto intorno
apriva le sue ali su di noi
dinanzi un bicchiere.
Tu ti disamorasti a stento,
io, io ti avrei voluto per puntiglio,
per metterti in un elenco
di tipi strani e significativi,
ma l'intimità mi era avversa,
avversa al mio cuore sterile
innamorato di altre vie.
Così andammo
ognuno al suo destino,
tu ubriaco,
io drogata,
nella notte dei bassifondi
dove ci eravamo cacciati,
scesi dalle nostre case di notai
e professori incapaci
dei propri figli traditi,
per una notte bianca di bianco, stupida,
dove rivendicavi una ballerina da night,
quasi una prostituta,
per un abbraccio caldo,
per un abbraccio da niente
che a te sembrava vita sufficiente,
che ti somministrava quel piacere sovrumano
che un uomo addenta come selvaggio;
ella ti diede sesso senza questioni,
senza promesse,
mentre io che cercavo l'eterno mi persi
nelle disquisizioni
che a un uomo non danno pane
né ventura.
Così finì quella notte
e noi tornammo
in case nemiche,
spenti dalla droga,
entrambi
disamorati dell'amore.
Il suicida
Sul carro del buio
sedevo a stento
quando la notte
si precipitò su di me come un demone
chiedendomi conto
del mio senso.
Dietro ogni finestra
viveva una famiglia
una luce accesa
e io in strada
prendevo bastonate
dalla mia solitudine
tanto che annichilito
lanciai un grido in me
di stupore
come bestia ferita a tradimento,
e spenta come colui che muore,
che deve morire,
vidi le luci correre
sul Lungotevere
e il buio tutto intorno a me.
Le pietre bianche erano spettrali,
volevano la mia fine
e il destino mi spremeva lacrime
come un mantice, una spugna d'aria,
con mani possenti
prive di pietà.
Me ne andai fuggendo
come l'ultimo respiro
ucciso dal momento,
il nulla graffiava forte
nel baratro dov'ero caduto
più povero che mai
e cieco,
senza forze,
ché anche la notte corre
e ha le sue destinazioni
inconosciute,
mentre la mia finiva lì,
e saltai dal ponte.
(Poesie tratte da: Fatti deprecabili. Poesie e performance dal 1971 al 1996, inedito)