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La tristezza come resistenza contro ogni destino da rifiuto

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EDITORIALE

La tristezza metodologica come forma di resistenza contro ogni destino da rifiuto umano

(Ivan Pozzoni)

 

     Ciascuna società nasconde una distintiva, caratteristica, cartografia dell’inferno, in cui si dibattono, tra atroci dolori esistenziali, tutti i rifiuti, i vari scarti, della società medesima, cioè i «caduti sul lavoro», i «morti, o reperti archeologici», le «vittime sociali collaterali», «eroi, e sconfitti».

 

L’odierna società dei consumi, nella sua distintiva cartografia, colloca il suo centro an-etico in un’esistenza votata al consumo, identificato col conformarsi alle regole di una vita trendy, dotato di un efficiente sistema di smaltimento dei rifiuti umani, non idonei ad adattarsi ai dettami di tale vita, e orientato a trascinare i non-idonei, i non-adatti, dal centro stesso ai margini della società, in un vortice esistenziale di condanna al non-ritorno; nell’odierna società dei consumi, attenta a massimizzare i ricavi emotivi individuali e a minimizzare i costi di gestione sociale, i costi eccessivi scaturenti dal mantenimento di meccanismi elaborati di organizzazione del controllo / dominanza sull’essere umano (simili al Panopticon di benthamiana, o focaultiana, memoria) sono abbattuti sostituendo all’organizzazione del controllo forme di smaltimento immediato dei disadatti. La vita trendy, centro an-etico, e anestetico, di una società dei consumi in cui o si è consumatori o si è consumati, consiste nell’esaltazione accentuata del successo (danaro; carriera; bellezza), nella critica crudele ai fallimenti individuali (miseria; mancanza di lavoro; bruttezza), nella realizzazione di un’etica narcisistica, egoistica, menefreghista, senza interessi comunitari, cioè nella valorizzazione di modalità nichilistiche d’esistenza; chi, vittima dei canoni inarrivabili di una vita trendy rea di innescare un’incessante corsa all’ottimizzazione di sé (fitness), non riesca a sottrarsi all’etichetta del fallimento, o cade nella banalità d’una esistenza inautentica (vuoto chiacchiericcio heideggeriano) o è martirizzato dal dolore, trafitto da ansia, stress, frustrazione, divenendo, senza nessuna speranza di risanamento, materiale di scarto indifeso davanti ai suddetti meccanismi di «marginalizzazione» e smaltimento. Snaturata da una sorta di innaturale sindrome di Stoccolma e accompagnata dallo smarrimento di senso della nozione stessa di comunità, ogni resistenza individuale allo smaltimento è frantumata; e, inoltre, la fluidità del Post-moderno rende accessibile a tutti, in ogni momento della vita, il baratro del rischio di una inattesa rottamazione, nel caso in cui si diventi in-adatti ai dettami della vita trendy. La fluidificazione dell’esistenza rende ciascuno di noi vulnerabile al rischio della «marginalizzazione».

 

Come reagire, senza arrendersi, alla dittatura del consumismo? L’uomo di cultura, contaminato dalla natura marginale del disadattamento, deve farsi terrorista contro modelli di reificazione e sfruttamento dell’umanità, reagendo all’ontologia, nichilista ed annichilente, resa attraente dalla moderna maschera del divertimento ad ogni costo, della vita trendy, con un deciso, ed energico, richiamo ad un’etica della tristezza, in uno dei diversi significati etimologici del termine (tèrere), intesa come metodologia di resistenza (come Bauman intende il «pessimismo» jonasiano); etica della tristezza è abbandonarsi alla sconfitta dell’orrore altrui, dedizione continua alla ricerca della salvezza dell’altro, in situazione di rottura d’ogni logica da «dilemma del prigioniero», di vittoria su ogni manifestazione di mentalità economica. Diviene onere morale irrefutabile dell’uomo di cultura continuare a intrattenere relazioni di condivisione emotiva coi c.d. materiali di scarto, rifiuti umani, e introdurre azioni di rivolta contro i valori di «mostri» (élites nomadi inafferrabili) e vita trendy, somministrando, in dosi adatte alla resistenza sua e altrui, il farmakon della serenità esistenziale mediante moderate inoculazioni dell’antidoto del dolore e della sofferenza, in modo da mitridatizzare ciascun essere umano a destini di marginalità e smaltimento, e evitando, così, a sé e ad altri, irrimediabili assassinii morali.

 

 

Ivan Pozzoni

[L'Arrivista, n.3/2011]

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