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Gio Ferri, dallesperienza sensoriale al decostruzionismo.

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Gio Ferri … dall’esperienza sensoriale al concettuale decostruzionista.
“Poesie Scelte. Un’autoantologia 1964-2014” – Anterem Edizioni 2024, con saggi propedeutici di eminenti autori.

Una lettura quanto più necessaria a colmare il vuoto editoriale di questa nostra contemporaneità conoscitiva in ambito poetico-letterario, che si pone quale ‘chiave di volta’ tra l’espressione statica d’inizio ‘900 e la dinamica nichilista post-moderna degli anni 2000, prendendo spunto dalla sensazione tattile delle forme come percezione spaziale, per giungere al disconoscimento programmatico del visibile all’ “indecidibile” derridiano: “…come ciò che all’opera del senso, fa del dire, della lingua, della scrittura, qualcosa di più ampio di quello che la presenza, l’intenzione o la semplice percezione potrebbero esprimere sulla ricerca di senso”. (Jacques Derrida).
Per quanto concerne il ‘visibile’, per Gio Ferri infatti, si tratta pur sempre dell’ ‘indecidibile’ derridiano, anche se in modalità differenti riguardo all’ arte e rispetto alla scrittura, un’esplicita disomogeneità dal significato primario della traccia, del tratto, del fatto stesso di esistere che, per l’ appunto, trova della decostruzione un’occasione assai feconda di esplicitare, di mettere alla prova e sperimentare la portata dei suoi concetti in proposito.
Quanto l’autore abbia maturato una propria concettualità decostruttiva e/o che ciò sia frutto di autentica intuizione non è dato sapere, tuttavia possiamo dire che Gio Ferri la utilizza benissimo, allorché ne avalla e ne utilizza l’opportunità nella poesia di ricerca, dando vita a un pensiero dell’interdipendenza, promovendo: “…audaci connessioni e concatenamenti tra generi letterari, tendenze artistiche, settori editoriali, coniugando unità e differenze tra poesia e grafica, poesia e prosa, narrazione e saggistica, poesia sonora e poesia concreta, scrittura ed editoria, traduzione letterale e infedeltà al testo, riflessione poetica e critica militante, colta nei suoi sterminati potenziali di sovversione.” (Flavio Ermini)
Relativamente alla ‘decostruzione’ menzionata, l’autore discopre un singolare quanto espressivo segno poetico-grafico che nell’estensione del libro si rivela antitetico alla premessa, in quanto, partendo dalla sua stessa definizione di ‘autoantologia’ si pone al servizio dell’ideologia prammatica, nell’interfaccia con la “Brevissima Storia della mia ‘scrittura’ raccontata da me stesso”, operando al tempo stesso una sorta di ‘autocritica’ tuttavia congeniale all’economia dei testi qui presentati e che, recupera una certa volontà dell’autore. Come Gio Ferri stesso, dopo un breve excursus annuario riferisce: «Dal 2000 si fa strada, coerentemente (?), con le prove degli ultimi vent’anni, una più estremistica e nichilista (conferma) visione del ‘nulla prammatico della storia’, a fronte del ‘puro nulla della poesia e del segno artistico’.»
Indubbiamente si sta parlando di una certa ‘coerenza’ che pur nell’introversione relativa alle varie fasi della sua produzione, lo mostra quale ‘artefice di se stesso’, mettendo in primo piano: “l’incessante e affascinante sperimentalismo e la stupefacente attualità […] da costituire una traccia per i giovani che vogliano dedicarsi all’attività creativa e letteraria” (Paola Ferrari), che ne procrastina il ruolo antropico di autentica originalità in quello di geniale influencer in grado di determinare i comportamenti e le scelte delle attuali generazioni. Nulla di meglio per dare seguito all’intemperanza che siffatta ‘autoantologia’ rivela del personaggio Gio Ferri, scaraventandolo sulla ribalta dell’odierna kermesse faunistica di ‘de-costruttori’ tout court.
Vale quanto egli stesso dice in apertura della sua ‘auto-storia’ al servizio dell’ideologia prammatica: “Pretende d’essere poetico (ma lo è? O piuttosto è antipoetico?) in quanto illude di farsi carico della sintesi di una visione totalizzante del riscatto, anche, e soprattutto, linguistico. I suoi spazi sono: i murali, i manifesti, le fabbriche, gli incontri politico-sindacali, le feste popolari, i ciclostilati ecc. Ma questa, ovviamente, non è altro che la piccola personalissima parte della gran parte della storia di quel tempo. […] È la fine dei sentimentalismi ideologici (non certo di una idea testuale personalissima del materialismo.”
Sì che viene da chiedersi a quale tempo/epoca egli fa riferimento? Siamo ai postumi del ‘Futurismo’ marinettiano, benché mai elaborato del tutto, oppure di fronte a un certo eclettismo di ritorno post-war? Vogliamo tornare a esaltare il movimento aggressivo dei facinorosi risorgimentali, l’insonnia febbrile dei poeti maledetti, il passo dell’oca, il salto mortale dei rappers, lo schiaffo e il pugno dei compagni, o la mano levata delle camicie nere? Meglio pensare alla manzoniana ‘ai posteri l’ardua sentenza’. Ops, ma i posteri siamo noi, quindi tocca a noi emettere la sentenza, ma no, in certi casi ancor più vale l’agire e lasciarsi condurre dalla corrente rivoluzionaria che vuole che tutto abbia una fine, onde ‘de-costruire’ implica necessariamente ‘ricostruire’, ancorché per il dopo, o quel che resterà delle future generazioni.
“Gio Ferri ha denunciato la metamorfosi della critica, diventata oggi affermazione di sé. Tanto che il pensiero è mutato in merce e la lingua si è fatta imbonimento. Lo spirito non può che dileguarsi, ripeteva, quando è ridotto a industria culturale e distribuito a fini di consumo, di manipolazione, di costruzione di consenso. Il mondo appare più inospitale che mai. Appare inconoscibile e ostile, atto a ferire e a sfregiare la dignità della persona umana […] dimostrando che l’arte di piacere era a lui sconosciuta, convinto com’era che la parola che vuole piacere è una parola che vuole soggiogare” (Flavio Ermini).
Tutto questo non è forse inquietante? – mi chiedo – ma ancor più inquietante è trovarsi “…di fronte al dolore delle persone, specialmente quando è dolore provocato dallo sfruttamento sociale ed economico, dolore provocato dalle speranze recise e dalla caduta delle illusioni, ancora più lancinanti per chi giunga da continenti lontani. Gio Ferri ci ha insegnato l’importanza di denunciare quanto inumana sia la nostra indifferenza nei confronti delle ferite strazianti che noi stessi con la nostra indolenza e la nostra ignavia procuriamo agli altri esseri viventi.” (Flavio Ermini).
L’autore:
Gio Ferri, giornalista, poeta, scrittore visivo, grafico, critico d’arte e di letteratura, esperto di comunicazione e marketing, per l’editoria, fondatore e direttore di riviste letterarie, critico analitico e interdisciplinare ha caratterizzato il prodursi evolutivo delle poetiche contemporanee. Presente nelle più importanti esposizioni internazionali di poesia visiva e grafica scritturale, e di numerose mostre personali. Organizzatore di convegni e festival di poesia e di teatro, mostre d’arte e seminari sulla comunicazione.

L’estensione della sua biografia occupa da sola pagine su pagine da riempire un tomo a parte, accoglie testi di narrativa e teatro, sillogi poetiche e poesia visiva, saggistica e critica della poesia ‘testuale’ contemporanea. Di lui hanno scritto saggi ‘introduttivi’ presenti in questa raccolta: Flavio Ermini, Giovanni Fontana, Francesco Muzzioli, Chiara Portesine, Marilina Ciaco; inoltre a saggi ‘conclusivi’ di Adam Vaccaro, Vincenzo Guarracino.

Si ringrazia infine la redazione di Anterem Edizioni per la completezza dell’opera portata a termine con dedizione e filantropia in rappresentanza di una ‘eccellenza’ in ambito editoria nel dare voce costante alla ‘poesia contemporanea’.



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