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Il concetto di essere umani

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Guido Brunetti

Il concetto di essere umani

 

L’epoca in cui viviamo richiede la necessità di un forte ripensamento sul significato di essere umani. Preliminarmente, dobbiamo dire che il concetto che abbiamo di noi stessi cambia nelle diverse epoche, culture e civiltà. Le risposte alla domanda “chi siamo”, invero, sono incerte e lacunose. Non siamo solo ragione e logica, ma anche sentimenti ed emozioni.

 

Noi siamo corpo-cervello-mente. Da un lato, c’è la prospettiva naturalistica e neurobiologica, che riduce l’essere umano a una questione neurale e materiale. La mente (l’anima) non esiste. I processi mentali sono processi del cervello. Dall’altro, c’è la visione opposta, quella che privilegia la non riducibilità di “Homo sapiens” alla dimensione corporea e cerebrale. La natura umana non è cioè riducibile alla neurobiologia, alla chimica e alla fisica, in quanto possiede qualità specificamente umane, come l’immaginazione, il linguaggio, la mente, la coscienza, la creatività, la dimensione morale, un certo grado di libertà, ecc.

 

In realtà, non siamo fatti di una sola natura: né tutti neurobiologia, né tutti cultura o società. L’esistenza umana non è “determinata” una volta per tutte, né sul piano genetico né in altra forma. L’uomo è “parzialmente libero”, ha la possibilità di operare scelte, contrariamente alla visione espressa dal determinismo, che non ammette scelte né il libero arbitrio o l’autodeterminazione.

 

Filosofi, neuroscienziati e teologi per millenni hanno esaminato questioni di questo genere, come l’essere, il senso della vita, il dover essere, senza riuscire, afferma Bjorn Larsson nel suo libro “Essere o non essere umani” (Raffaello Cortina, 2024), a pervenire ad una soluzione convincente. Finora, non abbiamo avuto alcun progresso in materia. Quello che possiamo dire circa l’umanità dell’uomo è che la prospettiva genetica “non è tutto”, c’è qualcosa di più. Il concetto di essere umani è infatti legato a qualità fondamentalmente umane: libero arbitrio, intelligenza, il sapere, l’empatia, la moralità e altre numerose capacità.

 

I neuroscienziati deterministi hanno una concezione monista e rifiutano che la mente o l’anima abbiano un’esistenza indipendente dal cervello e ritengono che tutto sia spiegabile in termini di materia e di fisica. Ci sono invece coloro che credono che la mente e la coscienza non si possono ricondurre alle sole leggi fisiche e alla materia. Due quindi le teorie principali: l’uomo è “determinato” da fattori innati, genetici: L’altra visione mostra al contrario che l’uomo non è “determinato” dal corredo genetico, ma ha una mente e una coscienza. Sono due modi distinti di esistenza, quello della materia e quello della mente.

 

Purtroppo, la mente o la coscienza non si possono esaminare con metodi scientifici, non si possono cioè dimostrare con dati incontrovertibili. Che cosa dunque è un umano? Che cosa lo rende tale? E che cosa significa essere degli esseri umani?

 

L’umanità dell’uomo consiste nel fatto di essere un’anima dotata di facoltà intellettive, sociali, morali ed etiche. Sono caratteri che distinguono la nostra specie da tutte le altre. L’attributo di umanità pertanto non è una proprietà innata. L’Homo sapiens sapiens è diventato quello che siamo solo grazie a una scoperta sfociata in “un’innovazione e in un’invenzione”, non sulla base di “mutazioni casuali e determinismi genetici (Larsson).

 

L’umanità dell’essere umano “dipende” da facoltà acquisite e acquisibili e dal rapporto di interazione con altri esseri umani. Non si nasce umani, possiamo diventarlo. La nostra umanità è precaria, non è garantita. Si può perderla in qualsiasi momento. Non è un dato, ma una potenzialità.

 

Nel tempo è nata la cosiddetta “scienza dell’essere umano”, la quale non è un sapere monolitico, ma un insieme di discipline che vanno dalle neuroscienze, alle scienze naturali e alle scienze umane, producendo invero settori di conoscenza sempre più “frammentati”, privi di collegamenti.

 

Oggi, le neuroscienze, la genetica e la biologia evoluzionistica, con la teoria darwiniana fondata sulla selezione naturale, sono “paradigmi egemoni”. Gli esponenti principali, come Pinker e Sapolsky, sono convinti che esiste una natura umana prodotta dall’evoluzione e dalla genetica, le quali tuttavia esprimono un sapere “diabolicamente complesso”.

 

Alla fine del Novecento, l’invenzione di nuove metodiche di brain imaging hanno finalmente consentito di osservare l’attività del cervello in tempo reale.

 

Mancano ancora le basi di una teoria unificata della mente e della coscienza e non sappiamo ancora il momento in cui la mente è scaturita dal cervello. Molte strutture del cervello, soprattutto quelle più profonde, poi, non sono accessibili alle nuove tecnologie.

 

Una scoperta importante inoltre riguarda il fatto che l’attività del cervello è in buona parte “non cosciente”. La realtà di questi processi inconsci ha indotto alcuni neuroscienziati a negare di conseguenza l’esistenza del libero arbitrio: se le nostre decisioni vengono prese a livello inconscio, è evidente che il carattere cosciente delle nostre decisioni è “puramente illusorio”, ossia il libero arbitrio “non esiste”.

 

La conclusione è che le ricerche neuroscientifiche hanno molto da insegnarci sul modo in cui il cervello opera nella vita reale, quando lavoriamo, pensiamo, agiamo, amiamo, studiamo o portiamo a spasso il nostro cane. Per le neuroscienze contano solo i dati sperimentali, cioè “riproducibili”. Inoltre, alcune teorie sul funzionamento del cervello non sono “verificabili” sperimentalmente.

 

Autorevoli neuroscienziati hanno asserito al riguardo che le scienze naturali non aiutano a “spiegare” e comprendere la mente e la coscienza, e né tantomeno l’essere umano. La scienza moderna, fisicalista e materialista, in sostanza, risulta “incompatibile” con ogni dualismo ontologico di mente-cervello, non ammettendo che la materia e la mente possano essere realtà “distinte”. I processi mentali sono processi del cervello.

 

Riteniamo, d’accordo con altri neuroscienziati, che l’errore del naturalismo scientifico sia quello di non considerare che tra “l’essere e il dover essere”, tra i neuroni, le sinapsi e i geni da un lato e la morale, i principi e i valori dall’altro “c’è molto di più, per Larsson, di quello che appare”. Ci sono tutte le nostre facoltà, come il concetto di sé e degli altri, la creatività, la coscienza, il linguaggio, ecc.

 

Il tratto peculiare dell’essere umano è una combinazione di bene e male, miseria e nobiltà, eros e thanatos, egoismo e altruismo, bontà e malvagità. Esseri umani non si nasce. L’umanità va acquisita, conquistata, sviluppata e tramandata. Essa si può smarrire, è precaria, irta di ostacoli.

 

 

 

 

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