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Lalfabeto della crisi

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Può la poesia, con le frecce che le sono proprie, porre domande e alternative diverse rispetto al consueto racconto, alle consuete analisi circa una crisi economica che ormai da più di un lustro brucia consumando pianeta e anime? Può soprattutto, per questo, smuovere coscienze già scosse- già provate e senza direzioni- e indifferenze di saccheggio, anche, per quel che rimane tra secche di vita? Coscienza di una scrittura mai alternativa ma nella radice piena della vita stessa, appunto, e che ha nella voce della misura delle cancellazioni e delle restituzioni lo spirito del proprio- e del nostro- fiorire. Diversi gli autori, allora, che su questo tema si sono tentati e si tentano (mentre è in stampa per la cura di Giovanni Dino per la Libri Thule di Palermo una ricchissima antologia, un ricchissimo coro proprio di "Poeti contro la crisi"). Tra questi Raffaele Castelli Cornacchia, della provincia di Mantova e insegnante (a Brescia) oltre che poeta e autore di testi teatrali, il quale in questo libro nella struttura di ventuno testi (ognuno scandito in più movimenti) ad indicare esattamente il numero delle lettere dell'alfabeto (ma qui a ritroso dalla Z alla A segnate nel titolo dal neretto della prima parola) ci consegna, aprendosi a graffi sempre più rabbiosi, un violentissimo e dolente atto d'accusa contro un sistema di valori (?) e di poteri nel quale (pochi miseri esclusi) i più sono chiamati a sentirsi responsabili. Nel tono della ballata (Castelli Cornacchia componendo fra l'altro spettacoli per adulti e bambini in collaborazione con attori e musicisti) sprofondiamo così con lui senza sconti entro quella quotidiana scena di saccheggio, decomposizione e fame che sempre più nelle forme più diverse andiamo a conoscere e a provare ma che, illuminate bene nella dinamiche di una storia che non da adesso affonda le radici del proprio sussistere in uno status quo che ha poco di democratico e imbonente , queste pagine con efficacia riportano nella sua origine di vita "e tempo relegato a rango di merce". Babele allora, è il caso di dirlo, di comportamenti e lingue nel quale la perpetuazione di piccoli e grandi imperi, di piccole e grandi cancellazioni, di dignità calpestate son riportate a partire dai sottotitoli a quel frasario, subliminare o meno, con cui il gioco direzionato delle crepe, nel possesso delle anime, si apre prima ancora nella mente che nelle tasche. Esemplificativa in tal senso è dunque la presentazione stessa dell'autore in seconda di copertina a chiarire il senso del lavoro. "Le parole- avverte- sono come la sabbia del mare, si fanno fango, s'induriscono formando dei mattoni con i quali si costruiscono muri e case. La poesia, allora, sgretola quei mattoni, rende scorrevole il discorso, e riporta la sabbia al suo mare". Opera di carico e decomposizione, nel rovesciamento stesso delle decomposizioni, che si rivela nell'imputante inserto dei sottotitoli nei quali la scena già nei termini si racconta nei luoghi e nelle dinamiche di una mascherata rovina senza ritorno. La demagogia, l'egemonia culturale, il lavoro, la globalizzazione, il mercato, il liberismo, il debito pubblico, la finanza: in ordine sparso eccone solo alcuni nel caleidoscopico frantumo delle identità messo in scena qui nel sarcasmo dolente di un espressionismo che per colore e grottesca iconicità della scena ci riporta, forse non a caso, a certo clima pre o dopoguerra. Si direbbe però , a ben leggere, un' Apocalissi già scritta (tutto tornando e presentandosi di nuovo a confutare il presente come se la storia non avesse nulla da insegnare) nella quale Castelli Cornacchia, come detto, non salva quasi nessuno, la gente, il singolo muovendosi come se dapprima fosse stata sfollato da se stesso. Eppure, come in ogni "malattia che potrebbe guarirti, ma anche farti morire", alla piaga bisogna impastarsi, saggiarsi- perdersi anche- per una fuoriuscita finalmente scevra, ripulita da possibili incrostazioni da ricaduta. In questo dunque il senso forte di una scrittura che non si perde sterilmente in se stessa ma che giustappunto secondo uno scardinamento civile, nella ridefinizione, o per meglio dire, nella riappropriazione della propria storia e delle proprie misure di determinazione sa indicare il solo-e necessario- presente nell' orizzonte possibile. Così nella cronistoria di una crisi (parola che nella propria etimologia- dal greco, guarda un po'..- ci spinge nel turbamento anche alla scelta che comunque senza possibilità di fughe siamo chiamati a fare) lo sguardo si sofferma, a partire dagli anni ottanta, da un costume di vivere ben al di sopra delle proprie possibilità a sistemi di regole imposte a scavalcare i più elementari diritti, da guerre (?) di cortesia i cui effetti stanno cambiando il profilo del mondo ("le peggiori guerre quelle, quelle fatte per il bene comune/ quelle di un padre che si dimentica del proprio padre") a un potere bancario- usuraio, come nel medioevo- al servizio dei potentati ecclesiali ed economici: e poi, in una corsa sempre più incontrollata, dal relativo aumento dello squilibrio con gli ultimi pignorata la vita di milioni di individui fino a un lavoro che ci rigetta, rigettandola, su una terra appena arata (come il mare sulla riva il corpo dell'ultimo colpito) e, ancora, a parole come deregulation o promesse di taglio del debito ad alzare sbarre di separazione e prigionia. Il tutto anche sotto l'azione complice di intellettuali che come gli altri "nell'oblio/ temono di non esistere" perdendosi in pensieri fuori tempo e di una politica- soprattutto- presente essenzialmente nel rafforzamento di un potere ("conferitogli da dio, dagli altri e più su: da noi stessi") che quotidianamente si reinventa nutrendosi "nel profondo d'un bisogno superficiale" in cui nel crogiolo molti di noi sovente rischiano di evaporare, occultare la propria responsabilità- e vigilanza- di cittadini. Responsabilità e vigilanza a cui questo libro nel suo merito maggiore richiama strattonandoci con forza grazie a una lingua che, come detto, proprio nella virulenza delle forme radicalmente compie se stessa facendosi cultura: società, prima di tutto, ed epoca interrogata a partire dai vuoti e dalle mancanze che ha di se stessa grazie a scrittura poetica, finalmente, edulcorata da orizzonti da cartolina. Sì, parafrasandone e rovesciandone un verso: è proprio poesia questa.

 

 Franca Alaimo - 20/10/2015 22:22:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Coraggioso il testo di Castelli Cornacchia ed altrettanto coraggiosa la recensione di Gian Piero Stefanoni, autore anch’egli di impegno etico-sociale. Non ho letto il libro dell’autore e mi chiedo come sia riuscito a trasformare in poesia temi poco confacenti ad essa, sebbene i grandi precedenti non manchino davvero. Perché, se come si deduce dalle osservazioni di Stefanoni c’è riuscito, allora siamo davanti ad una poesia "completa", una poesia dell’Uomo per l’Uomo.

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