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Che cosa la coscienza

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Guido Brunetti

Che cosa è la coscienza?

 

 

Le neuroscienze continuano a fornire una mole di dati di notevole interesse nell’intento di analizzare il cervello, la mente e la coscienza. Tre parole che nascondono abissi di ignoranza. Nonostante la quantità delle ricerche e delle scoperte, i neuroscienziati sono continuamente alle prese con gli antichi dilemmi. La mente è riducibile a processi meccanici? Non ci siamo ancora avvicinati alla comprensione di come dalla materia del cervello emerga l’immaterialità della mente. La mente è riducibile a processi meccanici? E come riesce la materia a generare il pensiero? Come può un pensiero essere causa di un evento materiale? E come è possibile che un evento materiale, cerebrale possa determinare un evento mentale? Sono alcune delle grandi domande su cui si sono lambiccati il cervello filosofi e scienziati a partire da Socrate, Platone e Aristotele.

 

Ultimamente, è stato Daniel C. Dennett a rispondere a queste domande con il suo nuovo libro “Coscienza. Che cosa è (Raffaello Cortina Editore). In questa opera, Dennett sottopone a una severa critica tutte le teorie sulla mente, spiegando i vari fenomeni che compongono ciò che chiamiamo coscienza e mostrando come essi siano tutti effetti fisici delle attività del cervello. Emerge una visione diversa dai tradizionali punti di vista, rompendo vecchi modelli di pensiero.

 

La teoria di Dennett si avvicina alla prospettiva storico-culturale basata sull’idea che la mente non è un’entità ideale, come la res cogitans di Cartesio, ma un prodotto dell’evoluzione. La conoscenza cosciente si sviluppa cioè per gradi e dipende dal fatto che gli esseri umani sono capaci di monitorare il sistema di autocontrollo attraverso la comunicazione verbale.

 

Abbiamo sviluppato- precisa l’autore- un sistema cognitivo autocosciente, il quale è capace di diventare consapevole del proprio corpo, di cosa stiamo facendo, dei nostri pensieri e dell’opportunità di condividere queste informazioni con gli altri. Bisogna fare molta attenzione- egli ammonisce- nell’adoperare l’allegoria del teatro della coscienza proposta dallo studioso francese, Taine; la coscienza come palcoscenico di un teatro, perché essa può condurci a un grave errore, ovvero all’idea che esista dentro di noi uno spettatore (l’homunculus). Non esiste alcun “io” che guarda dentro di noi. Il palcoscenico stesso è quell’io.

 

Nel nostro cervello, non c’è traccia- scrive Dennett- di un “autore centrale”, che produce un unico e definitivo flusso di coscienza. Invece di un unico flusso, ci sono canali multipli in cui vari circuiti creano “molteplici versioni”. Questi fenomeni sono tutti degli “effetti fisici delle attività del cervello”.

 

La coscienza può essere ricondotta alle leggi della fisica. Essa è “informazione globale” trasmessa all’interno del cervello e scaturisce da una rete neurale la cui ragion d’essere è la “massiccia condivisione d’informazione pertinente attraverso il cervello. Dennett definisce questa concezione “celebrità cerebrale”. Possiamo trattenere nella mente qualsiasi concetto; decidere e assicurarci che sia incorporato sui nostri progetti. La coscienza seleziona e amplifica i pensieri rilevanti. I processi che persistono e acquistano influenza sono quelli che, per Dennett, noi chiamiamo “pensieri coscienti”.

 

La parola coscienza ha un’ampia valenza semantica. Per coscienza possiamo intendere cose diverse, come la vigilanza e lo stato di veglia; la consapevolezza delle proprie azioni, ossia la qualità di avvertire e valutare i fatti che si verificano nell’ambito delle esperienze personali; le percezioni sensoriali (colori, suoni); le emozioni (paura, odio); le sensazioni corporee (piacere, dolore); gli stati d’animo (serenità malinconia) e infine pulsioni, desideri, bisogni. Sono tutti stati senzienti, che iniziano quando ci svegliamo e terminano quando ci addormentiamo.

 

Essi sono “accessibili” solo a chi li prova. Mente e coscienza quindi sfuggono all’indagine scientifica della verifica e della riprova. Non è dimostrabile infatti che il rosso che io percepisco corrisponda a ciò che tu chiami rosso.

 

Il termine latino conscientia si riferisce a una forma di conoscenza dialogica, che si realizza, come afferma Socrate, attraverso un dialogo non solo con gli altri, ma anche con se stessi. Molti autori hanno interpretato il “sé” come composta da una sostanza spirituale (Platone, sant’Agostino, Cartesio). Altri, come un’entità indipendente (Merleau-Ponty, Callagher). Altri ancora, come un insieme di pensieri (Hume).

 

La coscienza, per Dennett, è praticamente l’ultimo mistero che ancora sopravvive. Ci troviamo “nella confusione più totale” E’ un problema che lascia ammutoliti anche i più sofisticati pensatori. Parliamo delle nostre esperienze coscienti o delle nostre abitudini inconsce, ma non siamo sicuri di “sapere” cosa intendiamo quando diciamo queste cose.

 

Come possono corpi fisici produrre i fenomeni della coscienza e della mente? Questo è il mistero. Un mistero della selezione naturale, dell’evoluzione biologica e dell’evoluzione culturale. Le neuroscienze descrivono, per esempio, come uno stimolo luminoso raggiunga la corteccia cerebrale visiva, ma non spiegano come lo stimolo diventi cosciente.

 

Sostenere che la coscienza sorga dall’attività del cervello, cioè, come afferma lo scienziato Francis Crick, da “un pacco di neuroni è altrettanto misterioso- commenta Huxley- della comparsa del genio quando Aladino strofinava la lampada. Come un processo possa cominciare come evento cerebrale e finire in un evento spirituale o viceversa è- rileva Hartmann- di per sé “inspiegabile”. La domanda quindi in che modo da un insieme di segnali elettrochimici un evento acquisti significato, diventi cioè coscienza, è senza risposta.

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