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Giovanni Pascoli tra Urbino e Messina

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Gli impegni universitari mi davano la sicurezza di adempiere agli oneri che rientrano nelle competenze ministeriali, ma sentivo il bisogno di un rapporto più vivo e diretto con i discenti.
I miei colleghi mi invidiavano perché avevo avuto dal preside, Prof. Alvise Lunigiani l'incarico di presiedere alle riunioni di Facoltà. Il docente di Greco, Domenico Giffoni diceva di me, ed in mia presenza che ero il beniamino del preside; a volte lo diceva con un sarcasmo tale, che avrei voluto dirgli: “Ti cedo il posto mio, con relativi obblighi, purché tu la smetta di provocarmi.”
A volte, ritornavo a casa amareggiato; nonostante l'alta considerazione, nella quale ero tenuto, mi rammaricavo al pensiero che ci fossero degli invidiosi; un gruppo di colleghi mi ostacolava per inconsce rivendicazioni personali, rifugiandosi nel pretesto che i miei oneri non avrebbero dovuto uguagliare quelli del Vice Preside.
Era il mese di Gennaio, del 1891; era trapelata la voce che un professore di Filologia Romanza, Carmine Rao, anelava ad avere la docenza nella Facoltà di Lettere.
Non ebbi remore e lo andai a trovare all'Istituto Aleardi. Il Professore Rao, mi venne incontro sentendosi onorato, della mia visita. Quindi, mi disse: “Non ci son smentite; anelo veramente ad ottenere un posto di docente all'università, ma non per ambizione. Dico sempre ai ragazzi che quanto prima, io li lascerò... E, al buon intenditor, poche parole. Sappia, Professor Pascoli, Le dico, col cuore in mano, quel che non vorrei rivelare ad alcuno: di quei ragazzi, non ne posso più; mi fa star male non poter reagire, quando mi chiamano per nome, aggiungendo a dileggio un aggettivo, suggerito dal loro immaginario. Ella deve sapere, Professore, che son malato; è una malattia, che a lungo andare, e a diretto contatto, potrebbe generare, anche il contagio... Dio non lo voglia. Loro non sanno...Continuano a chiamarmi, goliardicamente “Il tubercolotico” perché ignorano che quella malattia ce l'ho davvero. L'abbracciavo e gli dicevo: Professore mio, spero che i suoi problemi avranno fine; le cedo la mia cattedra, al posto della sua. Immagino si chieda che cosa mi abbia indotto a venire da Lei. Sappia che ho dei colleghi molto invidiosi, per il fatto che sono presidente delle riunioni... Però se viene un altro, tutto ritornerà come era prima; ho cercato... ma è stato sempre vano ogni mio tentativo ogni mio tentativo di sciogliermi dall'onere.
Il Professore mise le scarne mani al capo: ”Professore Pascoli, Iddio, La benedica... Sappia che mi rammarica codesta invidia; vorrei che avesse il meglio dalla vita. Rifletta a lungo... e, se il problema non si risolve, allora, accetterò la sua proposta.
Fra poco, a chiusura della scuola, ritornerò, a Messina, ovvero quel paese che mi diede i natali. E' lì, che son sepolti i genitori; vi ritorno ogni anno e sol per loro. Quel paese è Novara; tra il verde degli ulivi, ho una piccola casa. Venga a trovarmi e se non teme, la mia malattia, l'ospiterò.”
Risposi: “Non lo pensi che tema il suo contagio; ben altri mali sono da evitare; se si presenterà l'occasione, verrò a trovarla. La sua provincia non mi è nuova, perché da ragazzino feci un viaggio con la mia famiglia... E ci fermammo a Capo D'Orlando.”
“Capo D'Orlando...” Disse, il Professore… “È un paese bellissimo, ritrovo dei più insigni intellettuali. Io conosco Pitrè, che è di Palermo ma quando viene si ferma a casa mia, e, dopo, insieme, si va a Capo D'Orlando, alla caffetteria.”
Uscivo rinfrancato, perché sentivo d'aver fatto bene a confidarmi con il Professore Carmine Rao.

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