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al testo di Ivan Pozzoni
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Il web è una cosa strana, la libertà dell’ignorante regna sovrana, dicevano i latini, dal mento volitivo, della lega anseatica, necesse est navigare, e ci si trova imbrigliati nella rete come cozze messe a corrente da lampare.
Ci immergiamo, ogni santo giorno, nella melma del World Wide Web senza bussola, come turisti nomadi intimiditi alla ricerca di un Club Med, siamo incalliti e spensierati come membri di una neo-avanguardia imbarcati, veri coatti, nelle cabine della Costa Concordia, incuranti che a forza di navigare si finisca davanti ad un machete, nella jungla sadomaso dei webmaster t’imbatti sempre in un webete, disponibile a imbavagliarti in un rapporto di connessione / sconnessione, convincendoti, senza fatica, d’esser tu il set da circoncisione.
Questi miei stupidi versi dove andranno mai a parare, se qualunque palla finisce in rete senza possibilità di verificare, senza opportunità di criticare, ti saltano addosso in branco, come neo-fascisti, fasci in fasce con in bocca un biberon da insaziabili etilisti, davanti all’uomo webete ogni ragionamento cade, l’aristocrazia del web si incentra sulla marca di De Sade, «lasciate ogni speranza» o voi che entrate, in blog se avete il torto di non spartir merende col barone Sacher-Masoch.
La verità è che navigare è diventato un dramma, senza aver attaccato all’USB del tuo Pc i fili dell’elettroencefalogramma: chi non ha intuito che il www sia diventato un outlet, sia condannato a osservar la rete come Boris Beckett.
[La malattia invettiva, 2018]
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