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al testo di Gerardo Dani
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Mi liberai dell’ansia disegnando la strada sul vetro. La strada, era presa dal dito, che non sapeva che farsene di vecchi intrecci, ma io ero consapevole che normalmente i dintorni nell’occhio non stanno lì per caso. C’è una tela nel panorama che tiene insieme cose e casi con emotività intense, poi le maglie si sfilacciano per l’artificio degli angoli suddivisi in acuti, retti e grevi. La persiana salva dalla dirimpettaia che sciorina panni e parole contro un uomo al portone che le va contro agitando il bavero e scrollando i capelli dalle gocce. È vero che non ci si può fermare al citofono se il posto ti preme in via definitiva; magari ti bagna, magari ti sporca, magari ti incorpora lo scarto improvviso del solido andare. Così resto tra due semprevendi: un’anta appena appena mossa, l’altra giusto che vi entri la testa: sono evoluzione e resilienza: puoi adeguarti al degrado anche in altri termini. Lascio che gli occhi trovino le voci mentre salgono infilandosi in ogni crepa e comprendo non dall’udito - di solito fuorviato dalle contumelie dei clacson - ma dalla vista che fa pratica in un altro senso. Questa consuetudine, dello stesso genere delle costellazioni, mostra molte più fughe che belle figure.
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