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al testo di alessandro venuto
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tramonta d’angoscia un’altra notte, agli ultimi lembi di luce m’aggrappo ma nulla tra le dita mi resta e già s’accendon le luci per strada. Nessun passo ancora su per le scale, dove sei? Lenivo un tempo il dolore con rosse bottiglie che poi nere ghignavano vuote dal tavolo ed era mio il teschio che tra le dita stringevo, interrogavo, ma ghignando silenzio non rispondeva. Ne’ volean le stelle che con luci sfavillanti taceano se ebbro chiedevo loro ’chi Sono?’ Incombeva su di me cupo il cielo. Poi Lei ha iniziato a cantare e a dare voce al dolore, a rendere normale vedere e sentire sempre un passo oltre quello che agli altri era dato capire e scrittore di nulla e di tutto m‘ha fatto: così ho dato parole al mio canto. A me si è mostrata una sera nel cuore del suo giardino segreto; seduta al centro di un chiostro rosato un’arpa tra le mani teneva e con dita di seta suonava nella brezza leggera. Occhi tagliati su labbra di rosa, lunghi capelli neri ossidiana a me sorrideva la Musa vestale. Da allora mai più mi ha lasciato e ogni volta che cala la sera e melancolia sale faccio di carta una vela e con la penna timone per creare un mondo dove viaggiare, con Lei come vento Dell’immaginazione. Rapsodia.
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