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al testo di Giovanni Baldaccini
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Tempo non ha, scusate (Mozart/Da Ponte, Don Giovanni)
Sono nato da un fatto. Questo è inevitabile.
Sono nato per caso. Dipende da certe condizioni atmosferiche, come le nuvole, ma non ne sapevo niente.
Sono una sospensione: un aggregarsi in forma che scompare.
Sono un ammasso stello/cellulare.
Con maggior precisione, una serie di ammassi sorvegliati da un coordinatore centrale. Il coordinatore centrale si avvale di una schiera di spie. Codeste filamentose (cellule a loro volta) operano segretamente sull'intero ammasso, inviando rapporti precisi al coordinatore sullo stato di ogni singolo elemento dell'ammasso. La comunicazione è, tuttavia, elementare: si limita a informazioni di piacere/dispiacere cui il coordinatore reagisce con allarmi allarmanti (dolore) o intensissimo piacere. Per questo il coordinatore gode e soffre moltissimo: una vita d'inferno. Tuttavia, non ha la minima coscienza di se stesso. Quando si accorgerà di sé, deciderà di smettere di vivere.
Sono anche un'intangibile astrazione, un tentativo di sublimazione dell'ammasso. Sono dunque un effetto. In tale (non) forma, spesso vaneggio. Questo significa che ignoro dove mi trovo, dove mi troverei (se potessi), dove non trovandomi mi troverei se mi trovassi. Inoltre, non ho alcuna informazione sulla mia consistenza, tanto che a volte temo di pensare (pensando) di non averne alcuna: qualsiasi pensiero prima o poi svanisce. A volte il coordinatore pensa (penso) che i pensieri finiscono in una specie di profondissima riserva dalla quale è possibile richiamarli non senza sforzo. Salvo trauma. Sublimare è una rinuncia e alle cellule non piace. Esse esistono per esistere. Divorano, dispensano, diventano: quello che non saranno.
Del tutto irrisolto, credo di essere un conflitto. Condizione assolutamente scomoda, come avrà ben presente qualsiasi ammasso consimile con il quale si viene inevitabilmente a contatto nei modi più svariati. Spesso questo significa malattia. Anche riproduzione. Non mi sono riprodotto: sono un sistema autistico.
Un pluricellulare ammasso-stella ha gravi difficoltà con il tempo. Trasportato da luce, esso ti lascia un’altra notte al buio. A volte ti sorpassa. Altre ti circonda o rimbalza, a seconda di massa, e varia con l’altezza. Se ti muovi, non puoi sapere se sia giusta l’ora, a seconda del passo. Il tempo è un luogo chiuso del soggetto. Non cercarmi stasera.
Quando comincia il tempo
Si volava, come fanno gli uccelli. Non funziona nel vuoto. Quando mi sono ricordato è cominciato il tempo. Dicono che prima sia un colore privo di descrizione, talmente da rimanere muto. Dicono che il rinfresco fosse freddo: arrivava l’inverno. Quando la sera si dipinge il collo di un blu sottile e il volto, piuttosto insoddisfatto, si ricopre di stelle, la festa era finita e i traversanti, occupando le scale, si chiedevano dove – forse qualcuno come – si potesse gioire di un travaso da un universo all’altro mentre cambiavo stanza. E il silenzio; la gravidanza morta; il mio rumore.
(Tratto da "Per giorni eventuali")
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