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al testo di Diego Bello
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siamo macchine senza più revisione lanciate al massacro e balziamo troppo allegri a bordo, con le gomme che stanno già per scoppiare al volante si alternano nani senza mani che nemmeno tentano di arrampicarsi su spalle più solide in putrefazione d’urto scricchiolano le porte dai cardini secchi e seminano retroguardie in crosta di smalto sulla terra arida, che il contadino è stufo di possedere la zappa prende ruggine nella teca di una latrina e l’aratro è incastrato nella mente piatta di un professore i sedili rosicchiati dai topi continuano il loro sporco mestiere con le molle che sfidano culi d’acciaio, attracco a sdrucite strisce di gommapiuma, come pesci d’aprile il cambio lasco, in folle perenne, lascia che il carico proceda a rilento in mezzo all’ombra d’ulivi lebbrosi e si scende verso il mare del sud, trascinando il rumore di latta a graffiare quel che rimane di asfalto, a zittire il frinire molle di timballi, tra le ultime foglie bruciate dal sole come in viaggio di nozze con la sposa puttana in grembo un bastardo che non sa dov’è meglio piazzare e lo sposo coglione, con un crisantemo nell’asola rosso vermiglio, rubato al cimitero dei sogni dalla bocca di un poeta vigliacco si sobbalza in buche riparate alla buona con cadaveri di coscienze corrotte e la notte è a un passo dal ciglio e si tiene lontana soffiando aliti di peste sulla cenere spenta |
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