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Inganni

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C’è la squadra dei bravi e la squadra dei cattivi…

Tu in che squadra giochi?

Devi scegliertela bene,… pena?
La squalifica dal mondo.

C’è la squadra di quelli che hanno avuto successo e quella di chi ha abbandonato,
- prodotto non conforme -, hai presente?

Non hai superato il test di qualità!

C’è la squadra degli arroganti e quella dei sottomessi e poi c’è la squadra dei dottori, quella che ti guarisce, e quella dei pazienti.

Le era stato insegnato così fino a quando non entrò in reparto.
Ci aveva portato il figlio quindicenne.
Quanto sono fragili i ragazzi di oggi!

Un tempo non era così, o nessuno se ne avvedeva.
Lei non ricordava di aver avuto mai paturnie adolescenziali o forse erano rimaste sopite, senza esplodere per via dei problemi familiari che sua madre stava attraversando con la figlia minore, sua sorella. Certo, qualche malessere, una leggera vertigine, l’aveva provata anche lei.
Non che la nave non risentisse delle mareggiate, ma, da sola, l’aveva sempre governata bene.
Ora quel corridoio così lungo le sembrava l’anticamera del Purgatorio e, forse, lo era.

Porta dopo porta, i suoi tacchi si trascinavano dietro l’eco dei passi, da quando i cardini dell’ingresso avevano cigolato.
Cosa fai quando sotto di te è il precipizio con la follia che chiama?
Chiedi aiuto!
Le esplosioni di rabbia sono un campanello d’allarme.
Ma lei è lì che ti aspetta, nel suo camice bianco, inamidato colletto, allevierà il tuo dolore, la tua disperazione.

Ecco, alla fine del corridoio arrivava una debole luce da una stanza semiaperta.
Bussò.

- Avanti! -

- Buona sera! - rispose un po’ impacciata e si sedette di fronte alla dottoressa.
La donna dai capelli rossicci non si era né alzata né le aveva rivolto lo sguardo.

Forse le aveva dato un’occhiata sghemba.
Lei la osservò bene: sicuramente il colore dei capelli attirava l’attenzione ma la sua curiosità fu catturata dal modo di sedere della donna, quel suo star chiusa su se stessa come un riccio, la testa tra gli avambracci e le mani che le ravanavano il cuoio capelluto, come in cerca di qualcosa.

Il tempo di attesa sembrava interminabile.
Nonostante la finestra aperta, la canicola non lasciava respiro.
Finalmente prese parola.
Un lento biascicare di frasi, seguito da movimenti altrettanto lenti.
Presentava tutte le difficoltà del ragazzo ad interpretare il mondo, mostrava una grande professionalità ma, mentre parlava, sembrava che le sue mani non le appartenessero, non a quella stessa professionalità, almeno.
Si accarezzò il viso con la destra, con la sinistra iniziò lascivi movimenti sul seno. Continuò a tenere il capo reclinato mentre la mano sinistra si allungò in direzione dell’agenda e di un pennarello. Il discorso si prolungò per un po’, intanto un grande cuore prendeva vita sul foglio.
Una volta disegnato, continuò la sua opera, colorandolo.
All’improvviso, interruppe il monologo, la guardò fissa negli occhi e, sospirando rassegnata, con un filo di voce che metteva a nudo tutta la sua angoscia, mormorò: - Ho finito il rosa! -

È facile finire ai margini.
Non esistono squadre.
Siamo personaggi inquietanti, violenti e teneri, sconclusionati spesso, eppure saggi, tutti travolti da questo inganno spaventoso ma meraviglioso che si chiama VITA.

 

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