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al testo di Emilia Filocamo
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E' venuta già l'ora delle farfalle. Si, dei lepidotteri in picchiata, dei ronzii. E dello smielare. L'ora che il mare avvampa in cerchi di schiusa a riva, e le gambe smettono l'inverno. Tre o quattro volte ho sentito già cambiarsi il cielo e le montagne, con la faccia che hanno le cose quando sanno arrivare un conto diverso. E tutto respira senza affanno. Dalla luna, invece, vengono tue notizie, del tuo svernare, che un po' mi appartenne, setaccio di un letargo strano, gelato e lieve, lento e micidiale. Ti ho immaginato incastrato fra due rocce, un utero senza gentilezza, a dormire i giorni che ci hanno appaiati, noi venuti da un corredo opposto. E poi, d'improvviso, svelato. Un'agitazione di bozzolo, una fermentazione primaverile. Senza più una sola forzatura, una catena. Come quando alzi il bicchiere sotto cui tenevi prigioniere due ali, non importa la fattura. E dall'apnea, campana di morte momentanea, incubatrice inversa, fai venire finalmente via il battaglio/ Icaro che hai provato a fare terrestre. |
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