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al testo di Benny Nonasky
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1. Non ho più voglia d’altro, stasera. Le chiavi sono andate perse; la mia casa violentata da un amore che non reca le mie impronte.
Il cielo crolla su feti stesi fra lana di pecore sgozzate per la festa del Signore. (Lo anticipo e lo attesto: non risusciteranno.) Tutto si accomoda sulle croci di domani.
Precisione. Buon fabbro.
Le rondini e le nuvole capiscono quel che vedono: larve umane spremute in un azzurro ciccione e limpido. Fino a prima. Ora, ora giusta. Crepuscolo. Mare, mare mestruo di un altro giorno indifferente – comunque vissuto e biasimato.
Così va la stagione, al crepuscolo.
2. E D. non afferra. D. non apprezza. D. è un robot sadico che strizza i calendari degl’anni avvenire e stravolge l’ipotesi delle certezze. Attraversa le mie pupille. Corrode la retina. S’infila e spezza la safena delle mie sdolcinate tenerezze. Vacca. Latte del mio pene sprecato. Sesso: timbro – Denominazione d’Origine protetta – sulla definizione TI AMO. Ci riconosce. Rispecchia il mondo che modelliamo. (una libertà ormonale latitante; una rivincita carnale mediatica.)
E’ non c’è più voglia di nulla, avendo tutto. Questo. Quello. Sorriso gengivale. Hopper. I miei sogni. Il sarcasmo conseguente alla truce realtà. E’ fuori misura, cazzo. Esorbitante come l’ignifuga domanda: <<Mi ami?>> Non dirla: la risposta potrebbe non essere sufficiente per ammansire questo diluvio. Scardina le difese. La tormenta mi strapazza e appaga. Appaga la morte. Quella morte per morire. In questo. In quello. La morte. La morte muta. Il silenziatore perennemente in canna. Precisa. Rassicurante. Ahimè, ahimè, ahimè! Credere perché così è richiesto dal copione. Come farfalla schiacciata da un carro armato. Come il distacco dai tuoi occhi. Occhi: differenze standard: uno verso il cuore, l’altro verso la clavicola. Rotazione del sistema orbitale racchiuso nel linguaggio ermetico della ciglia.
<<Chi avrà mai la verità?>> <<Chiedilo alla mia tecnica.>> <<Chi avrà mai la verità?>> <<Le versioni sono contrastanti. Ognuno accondiscende a quella più consona al suo invertebrato piacere.>>
3. Così va la stagione al crepuscolo. In sera riprenderà a palpitare la luna e noi correremo nudi masturbandoci a vicenda senza mai chiedere perdono – se questo è peccato. Saremo gli eroi che la filantropia non enumera. Unti e sinceri, schioderemo quei feti e li accatasteremo edificando una statica torre che sfidi ancora il cielo. Annoteremo sui nostri dispiaceri: “Qui sempre parla una sola lingua: la morte, la morte muta.”
E se il nostro giudizio si moltiplicherà, creeremo una culla.
Dormiremo tu io. Ci ameremo e la luce che partorirà da noi sarà orologio e altro me te che viva il futuro che non, mai avremo.
E se questo non fosse semplice, creeremo un orto. Lo coltiveremo tu io, seminando cuori per germogliare minuscole zolle di passione venata. Apriremo un bar. Le serviremo come zucchero per il caffè. Saboteremo il sistema orbitale. Con queste. Con quelle. Ora, nell’ora giusta.
D. Come autotrofi. Come fotosintesi clorofilliana. D. Non ho voglia d’altro, stasera. |
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